the Act of seeing with one's own eyes

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Voto:

Film documentaristico

LA RECE

Chi eravamo prima che ci venisse insegnato cosa vale la pena guardare e cosa no, cosa è bello e cosa brutto? 

Stan Brakhage fu uno degli autori più prolifici e influenti fra quelli dell’avanguardia statunitense e realizzò film così personali che la loro visione è paragonabile a un’immersione nei suoi processi di pensiero. Il cinema di Brakhage ha fatto epoca e le sue opere sono un passo obbligato per la maggioranza degli studenti americani di comunicazione dei media. Il suo progetto fu riscoprire la purezza e l'intensità della percezione che ogni individuo possiede prima che essa venga inquinata dall'educazione e dalle regole socialmente costituite. The Act of seeing with one's own eyes rientra esattamente in questa visione artistica e ci lascia soli a osservare, a osservarci, senza nessuna mediazione da parte dell'autore. Progetto sperimentale girato interamente nell'obitorio di Pittsburgh, e con l'unico limite imposto dall'équipe medica di non filmare i volti dei morti, il corto presenta l'autopsia di due corpi, uno maschile e l'altro femminile. Si potrebbe pensare che sia una mera operazione di shock exploitation ma non è così. Benché, nella pratica, si vedano autopsie come potrebbe accadere in shockumentary della serie le Facce della morte (1978), l'opera di Brakhage si discosta in modo abissale da quelle macabre operazioni commerciali e l'eliminazione del sonoro dalla ripresa è il primo indizio. Brakhage ci offre il muto più insopportabile della storia del cinema, ci abbandona al nostro sguardo sorpreso, curioso, disgustato, a uno stile d’ispezione visiva che abbiamo perso quando ci fu insegnato cosa valga la pena guardare e cosa no, cosa sia bello e cosa brutto. Il regista ci lascia alla visione del nostro corpo, della decostruzione di esso parallelamente alla decostruzione del nostro modo di vedere e concettualizzare le immagini. Ognuno può pensare e inferire ciò che vuole da questo film poiché dal regista siamo messi nelle migliori condizioni per poterlo fare. Ognuno può reagire ad esso secondo il proprio intimo sentire: disgusto, curiosità, voyeurismo e altro; tutto è lecito, tutto fa parte del processo stimolo-percezione-risposta senza alcuna mediazione. Questo prodotto di Brakhage sfida gli spettatori a riconsiderare il modo di pensare a loro stessi, e benché sia difficilmente consigliabile agli impressionabili, è paradossalmente proprio a questi che avrebbe da offrire la migliore lezione sui limiti autoimposti. A coloro che decidessero di vedere the Act of seeing with one's own eyes consiglierei di guardarlo la prima volta da soli e senza distrazioni, solo così può aver luogo in pieno il processo che ritengo volesse sollecitare il regista. A questi coraggiosi ribadisco il fatto che il film è materia potenzialmente disturbante. Voto quanto mai superfluo, dato che la pellicola in questione non ha reali termini di paragone, nondimeno chi si dice in cerca di cinema bizzarri e di avanguardia la consideri un must.

TRIVIA

Stan Brakhage (1933-2003) dixit: “La cosa mi preoccupa, ma amo essere oggetto di obiezione” (IMDb.com).

Benché pochissimi abbiano visto i lavori di Brakhage, e ancor meno potrebbero aver voglia di guardare the Act of seeing with one's own eyes, esiste tuttavia un filmato dall’avanguardista Stan che tutti hanno visto. Fu lui, infatti, a creare la nota sequenza visibile nella pubblicità dell’ammorbidente Downy nella quale una bottiglia del suddetto prodotto cade su una morbida pila di tessuti. Downy era un prodotto Procter & Gamble, al quale la Unilever rispose con Coccolino, il cui spot vedeva l’orsetto Kuschelweich cadere anch’esso su una pila di panni lavati di fresco. Per tutta questa morbidezza bisogna ringraziare Stan Brakhage!

Titolo originale

Id.

Regista:

Stan Brakhage

Durata, fotografia

32', colore, muto

Paese:

USA

Anno

1971

Scritto da Exxagon nell'anno 2005; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

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