Blind beast

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Voto:

La giovane modella Aki (Mako Midori) viene rapita dallo scultore cieco Michio (Eiji Funakoshi) che la considera perfetta musa per il suo capolavoro a venire. Aki, segregata in un laboratorio arricchito da enormi sculture che rappresentano i cinque sensi, cerca di scappare e, a tal fine, simula d’innamorarsi di Michio. L’uomo cade subito nel tranello ma la madre di lui (Noriko Sengoku), gelosa della modella, cerca di convincerlo a non farsi irretire.

LA RECE

Lui cerca la perfezione, lei cerca qualcuno che la faccia sentire perfetta. Gli occhi non servono, il tatto è tutto. Dramma di forte connotazione teatrale nel quale solo tre protagonisti vorticano pericolosamente intorno a temi edipici, sensuali, sessuali, sensoriali, sadomasochistici... fino a precipitarvici dentro.

Da una novella di Rampo Edogawa, dramma di forte connotazione teatrale nel quale solo tre protagonisti vorticano pericolosamente intorno a temi edipici, sensuali, sessuali, sensoriali, sadomasochistici, fino a precipitarvici dentro. L’amour fou di Aki e Michio è perversamente complementare: lui cerca la perfezione, lei cerca qualcuno che la faccia sentire perfetta. Gli occhi non servono, il tatto è tutto. L’idea iniziale è rapire la modella Aki per creare “l’arte del tatto”. In realtà, la volontà inconscia è trovare qualcuno con il quale instaurare un legame, e questa volontà è condivisa sia dall’uomo sia dalla donna. Lui può superare il legame fusionale con la madre solo e solamente tramite un altro legame fusionale, viscerale e regressivo. Aki, novella madre di un uomo-bambino (“Noi donne siamo dominatrici, ci piace comandare”), paga pegno per l’unicità garantita dall’amore di Michio, ovvero una totale caduta nella visceralità e un desiderio di autodistruttività erotizzata pezzo per pezzo. In questa dinamica, l’originale figura materna non può che essere annichilita con violenza e senso di colpa. Tutto si svolge in un ambiente asfittico, uterino, che ospita al suo interno un’enorme scultura di donna (i cui seni, non a caso, sono sempre in primo piano) usata dai due attori come un palcoscenico immerso nell’ombra. I muri che contengono questo incubo relazionale sono resi in maniera inquietante e indimenticabile con pareti arricchite da grosse sculture di occhi, orecchie, bocche e nasi. L’erotismo non è ostentato ma veicolato dalle contenute nudità di Mako Midori e dai palpeggiamenti dello scultore che, solo a film ben inoltrato, esprimerà una certa virilità vivace ma prima si limiterà ad esplorare il corpo della modella con una curiosità sessualmente inefficace. Forse un po’ didascaliche le ultime frasi per voce di Aki ma dirimenti nel caso Blind beast si fosse fatto un po’ arcano, il che non è un’eventualità remota per un film nipponico degli anni Sessanta: “Il mondo del tatto… Il mondo degli insetti… Le forme più basse di vita come le meduse… Coloro che si affacciano su questi mondi, possono aspettarsi solo una morte buia”. Più le cose sono essenziali e viscerali, più la dannazione le accompagna, per quanto a tale dannazione si accompagni il piacere e l’abbandono, proprio perché essenziali e viscerali. Funakoshi non è il miglior cieco visto sul grande schermo né la Mako, per quanto deliziosa, è una perfetta attrice, ma entrambi ci mettono il dritto e il rovescio, o almeno ci provano. Blind beast è, soprattutto, la sua scenografia e l’atmosfera straniata e surreale che Masumura riuscì a creare per un film di efficacia e spessore notevolissimi. Impossibile dimenticarlo. Consigliato solo a spettatori pronti a un cinema non... immediato.

TRIVIA

Yasuzô Masumura dixit: "Non cerco di ritrarre le donne. È solo che le donne sono le più umane. Gli uomini vivono solo per le donne, per tutta la vita portano il loro fardello come un cavallo tira la sua carrozza, e poi muoiono di infarto. Solo concentrandoci sulle donne possiamo esprimere l'umanità. Non scelgo le donne per parlare di donne" (tiff.net).

⟡ Nessun dato, per ora.

Titolo originale

Môjû

Regista:

Yasuzô Masumura

Durata, fotografia

86', colore

Paese:

Giappone

Anno

1959

Scritto da Exxagon nell'anno 2010; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

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