la Casa del buon ritorno
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Voto:
Luca (Stefano Gabrini) torna con la fidanzata Margit (Amanda Sandrelli) nella casa dove anni prima, quando era piccolo, fece cadere dal tetto la piccola Lola della quale era innamorato. Il ricordo diventa un'ossessione: Lola (Lola Ledda) sembra essere tornata.
LA RECE
Gli aneliti art-house di Cino spingono uno psico-thriller horror di modeste ma genuine potenzialità, sui lidi del polveroso essai che, sì, passa da Venezia, ma per poi finire dritto dritto nel dimenticatoio.
Thriller-horror del nisseno Cino che, grazie al finanziamento del Ministero del Turismo e dello Spettacolo, tenta il colpaccio col cinema autoriale realizzando un film di psico-paura, rarefatto nei dialoghi ma pregno di atmosfera, a metà tra i goticismi delle vecchie pellicole monocromatiche e il giallo all'italiana, come si può intuire dalla costruzione della prima scena. Queste, almeno credo, le intenzioni di Cino. In realtà, la Casa del buon ritorno di veramente buono ha solo il titolo che, per quanto intrigante, rischia, oltretutto, di portare fuori strada lo spettatore facendo pensare agli horror sanguinari del ciclo delle case. Nulla di tutto ciò... a parte alcune riprese rasoterra. La Casa del buon ritorno è un lento susseguirsi di lentezze sottolineate da uno score classicheggiante in linea con gli aneliti autoriali che si vanno a perdere proprio nel forzoso tentativo del regista di essere di classe, dimenticandosi di costruire una storia che, in sé, aveva anche i semi dell'inquietudine. Soverchiato da questa smania arty, l'orrore che poteva trasudare dalla storia, e che a tratti fa capolino, si perde fra silenzi, flashback, strimpellate, gente che si fa la barba al cesso, e altri che bevono il caffè in cucina. Poi, un sacco di scene al buio delle quali non sono riuscito a capire molto, senonché, in questo kammerspiel, la casa che trasfigura da luogo di delizie a luogo di nequizie. Se Cino avesse continuato a girare il film come aveva condotto l'incipit, con il nascondino finito male, allora questa casa avrebbe potuto davvero fare paura, mentre il risultato finale pare uno sceneggiatone. In più, il protagonista barbuto, poi baffuto alla Freddy Mercury e con un pessimo gusto per i vestiti, non ha assolutamente lo spessore né la faccia per la parte che riveste, mentre un'acerba Sandrelli, se non altro, porta una ventata di fresca sensualità lasciata però lì ad impolverarsi nella casa. L'errore di tentare il cinema ricercato, invece di scegliere l'onesta strada del parla-come-mangi, Cino lo ripeterà due anni dopo con Intimo (1988), erotico de noantri che obbligò per mesi la povera Eva Grimaldi a riportare ai giornalisti frasi tipo: "miscuglio di temi letterari" ed "erotismo interiore". Certo. Per non parlare, poi, di Fatal temptations (1988), esecrabile già dal titolo. Occasione persa di fare un piccolo dignitoso B-movie per la voglia di fare qualcosa di serie A, finendo per cadere nella serie-Z. Comunque, lavoro divisivo: i rozzi come me cassano, altri hanno apprezzato gli echi musicali di Beyer e le raffinatezze sparse, tanto che il film venne premiato al Fantafestival di Roma dell'87 e portato pure a Venezia. Vabbè, io non mi azzardo a sconsigliare, però...
TRIVIA
Giuseppe "Beppe" Cino (194 7) dixit: "Per prima cosa un regista dovrebbe chiedersi: perché fare un film? Fare un film dovrebbe servire a qualcosa, così come serve a qualcosa fare ogni giorno il pane. Ecco, un regista dovrebbe porsi il problema di fare dei film così come si fa il pane. Qualcosa di buono da mangiare, qualcosa di utile, di necessario. È così oggi il cinema? È così oggi il lavoro del regista? Tranne rarissimi casi, direi di no" (malgradotuttoweb.it).
⟡ I problemi di luminosità derivarono (in parte) dal fatto che, per contenere i costi, si adoperò una 16 mm per poi gonfiare il tutto a 35.
Regista:
Beppe Cino
Durata, fotografia
90', colore
Paese:
Italia
1986
Scritto da Exxagon nell'anno 2011; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0
