Dirty diaries

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Voto:

Skin di Elin Magnusson. Un uomo ed una donna completamenti coperti da tute zentai color carne iniziano a fare sesso. Più il rapporto progredisce, più vengono eliminati pezzi delle tute fino a lasciare completamente scoperta la pelle dei due protagonisti. Fruit cake di Sara Kaaman ed Ester Martin Bergsmark. Orifizi anali, vaginali e pene, e loro secreti, messi in parallelo con le morbidezze e gli umidori della frutta. Night time di Nelli Roselli. Sulle prime, molto modesto ed amatoriale incontro sul letto di un uomo e una donna che si baciano anche maluccio. Poi, sorpresa... Dildoman di Åsa Sandzén. L’unica animazione del gruppo. Alcuni uomini osservano eccitati due donne che fanno sesso su un tavolo da biliardo in un locale per avventori maschili; il più eccitato cade totalmente nella fantasia. Body contact di Pella Kågerman. Una donna aggancia uno sconosciuto su una chat erotica e lo invita a venire a casa sua per fare sesso. In effetti, le donne che organizzano la cosa sono due e vogliono filmare il coito, ma lui non lo sa. Red Like Cherry di Tora Mårtens. Una coppia al mare della quale non vediamo mai il volto ma solo tratti di pelle, finisce in camera a fare sesso. Tutto ripreso a scatti e con totale sfocatura dell’immagine: ombre, luci, gemiti, colori. On your back woman! di Wolfe Madam. Incontri saffici lontanissimi dall’immaginario lesbo per maschi etero. Alcune donne si lanciano sul letto, si prendono per il collo, fanno la lotta al rallenty. Phone fuck di Ingrid Ryberg. La linea narrativa apparente è quella di due donne che si sentono al telefono e, a distanza, si masturbano; una delle due, però, è palesemente più adulta... Brown cock di Universal Pussy. Una donna caucasica viene prima sollazzata da un fallo di gomma marrone poi, in una ripetuta sessione di fisting, viene penetrata dalla mano di una donna mulatta. Flasher girl on tour di Joanna Rytel. L’artista svedese trans Joanna Rytel, in arte Flasher Girl, sale su un taxi a Parigi, mette un preservativo a una banana, e si infila la banana. Il taxista, giustamente, dice alla signorina che se vuole masturbarsi lo vada a fare fuori della sua macchina. Authority di Marit Östberg. Una donna androgina entra in un vecchio edificio per graffitare un muro ma viene sorpresa da una guardia androgina che la inseguirà. For the liberation of men di Jennifer Rainsford. Uomini vestiti da donna si masturbano in una cornice cupa; al termine, appare il volto di una donna anziana.

LA RECE

Portmanteau porno femminista con registe che interpretano l'erotismo e la pornografia dalla loro prospettiva. Ne sortisce una fagiolata di cose diversissime, alcune intressanti, altre dozzinali; esattamente quello che accade con le persone in generale quando sono in numero superiore all'unità.

Pornografia femminista all’arrembaggio. Che le donne guardino porno è un fatto. La frequenza e il confronto con la fruizione maschile sono dati che lasciamo alla ricerca psicosociale. Se ci sono donne che lo producono, che lo realizzano e che ne fruiscono, forse, dico forse, il porno non è (o non sarà) più quella palude di maschilismo che si va dicendo. Mia Engberg e una serie di artiste ed attiviste ci si mettono per dire qualcosa di pornografico che non sia né commerciale né maschilista: è il porno-femminismo. L’idea nasce reattivamente alla reazione ricevuta da Come together, corto realizzato dalla Engberg prima di Dirty diaries e, poi, scelto per chiudere questo portmanteau hard. Un pubblico prettamente maschile criticò l’exploit puntando il dito verso la discutibile avvenenza delle protagoniste; per la Engberg, questa era la prova che le donne, nel porno, finiscono sempre per dover rispondere al gusto maschile. Per Mia era giunto il tempo di realizzare un hard che, con la generosa sovvenzione dell’Istituto Cinematografico Svedese, sovvenzione pubblica di 50.000 €, rileggesse la pornografia secondo un decalogo che vi riporto sotto. Lettolo, alcune riflessioni. Se il porno, che è cosa diversa dall’erotismo, è finalizzato ad una funzione di stimolazione puramente fisiologica, quindi con una natura “usa e getta”, può esistere una pornografia non commerciale? Il porno prodotto da una, diciamo così, intellighenzia femminista è davvero rappresentativo del porno che piace alle donne in generale? Inoltre, che diavolo sono le donne “in generale”? Se la pornografia prodotta finora è una creazione quasi totalmente realizzata per interpretare la fantasia maschile (il che è vero), e che essa si manifesta in maniere assai differenti, dalla violenza misogina, alle delicatezze romantiche, può essere che anche le donne abbiano un ventaglio di preferenze diversissime e non interpretabili dalle femministe o, semplicemente, da alcune donne? Ma la Engberg lo sa che da anni c’è una pornografia filmica diretta da donne e pensata per un pubblico femminile e che, ad esempio, bellesa.co è una porn company gestita da sole donne, con film per donne e con materiale video “ethically sourced”? E che diciamo dello tsunami real-home-made con uomini dai corpi lontani dalle proporzioni greche e compagne consenzienti non canonicamente belle, ben al di fuori delle logiche di business delle major pa-triarcali e maschiliste? Insomma, a ciascuno il suo. Credo che, come gli uomini, le donne, nel loro privato, siano in grado di cercarsi il materiale che preferiscono, con il dubbio che non possa esistere, tout court, una pornografia solo maschile o solo femminile, almeno in ambito etero. Segue analisi di ogni singolo filmato; vale poco un giudizio che misuri il potenziale erogeno dei video, dato che, in campo sessuale, la logica del de gustibus regna suprema. Skin di Elin Magnusson. Come dire, prima una pelle che crea una distanza, poi pelle a pelle per davvero. Una buona metafora del processo conoscitivo nel sesso, qui rappresentato in maniera molto gradevole (de gustibus) e senza lesinare in particolari esaltati da primissimi piani dei genitali. Buon accompagnamento musicale. Notare che in questo filmato, così come in tutti gli altri, manca il “money shot”, ovvero la ripresa dell’eiaculazione che è un must nelle produzioni hard canoniche. Fruit cake di Sara Kaaman ed Ester Martin Bergsmark. Super close-up di ani ed altre cose fortemente sfocate ma “juicy dripping”. Scene etero ed omo. Corto più originale nella resa che nel parallelismo che la letteratura, il cinema e la poesia cantano da anni. Night time di Nelli Roselli. Sulle prime, molto modesto ed amatoriale incontro sul letto di un uomo e una donna che si baciano anche maluccio. Si avverte la sensazione che fra i due non ci sia il massimo della confidenza, cioè non si conoscano da tanto. Sesso orale fatto e ricevuto, poi, invece della penetrazione, lui la stimola con un vibratore. Strano. E invece no, perché lui non c’è mai stato: era tutta una fantasia di lei che si stava masturbando. Esteticamente non trascinante ma ben svolto anche per il suo formato grezzo. Dildoman di Åsa Sandzén. Alcuni uomini osservano eccitati due donne che fanno sesso su un tavolo da biliardo in un locale per avventori maschili; il più eccitato cade totalmente nella fantasia (la sua stessa o quella femminile?) finendo per rimpicciolirsi ed essere usato come dildo, ovvero tenuto con una mano e fatto entrare ed uscire nella vagina della donna fino all’orgasmo di lei e alla (piccola) morte di lui. Curioso. Chi usa chi? Il concept supera il porno. Body contact di Pella Kågerman. Una donna aggancia uno sconosciuto su una chat erotica e lo invita a venire a casa sua per fare sesso. In effetti, le donne che organizzano la cosa sono due e vogliono filmare il coito, ma lui non lo sa. Quando ‘sto disgraziato arriva, esprime chiaramente il disagio di trovarsi in una situazione non concordata, con tanto di handycam puntata in faccia, e vuole tornarsene a casa. Poi viene convinto dall’offerta di un caffè (!). Quindi, sesso con la protagonista mentre l’amica riprende. È la fiera del disagio, spero programmatico, fra baci brutti e rapporto sessuale peggio. Alla fine, lui crede di aver fatto la figura del toro, invece, uscito dalla porta, le due lo prendono in giro. Insomma, l’allegrezza di un triangolo erotico fra Von Trier, Haneke e Seidl. Forse, e dico forse, è la rappresentazione invertita di una fenomenologia da stereotipo maschile, ora agita in modo paritario dalle donne. Sì, ma non è che a copiare il peggio si diventa migliori. Sarebbe stato altrettanto sgradevole all’inverso. Red Like Cherry di Tora Mårtens. Strano corto che, però, interpreta molto bene sia il senso dell’erotismo sia il senso del privato. Tutto viene allitterato secondo le più stringenti logiche dell’erotismo che suggerisce ma non mostra lasciando allo spettatore il compito di completare lo stimolo, e lasciando la carne solamente ai due praticanti. Molto intelligente, quindi molto erotico. On your back woman! di Wolfe Madam. Ma il sesso fra donne è davvero così? Ammazza che fatica! Poi, alla fine, un secondo di dolcezza con un bacio. Il senso è chiaro e, in effetti, si percepisce il divario fra la pornografia pseudo-lesbica massificata e quello che può essere davvero un incontro sessuale fra donne che, ovviamente, non è sempre così bellicoso ma non è neanche tutta una coreografia di moine e posizioni a pecora a vantaggio di cineprese e maschi. Phone fuck di Ingrid Ryberg. Strano corto del quale può essere che non abbia compreso appieno il senso recondito. La linea narrativa apparente è quella di due donne che si sentono al telefono e, a distanza, si masturbano immaginando un rapporto sessuale fra loro, senza che i genitali vengano esposti. La particolarità è che una delle due è palesemente più adulta, vestita in un modo “vecchio” (terribili gli slip leopardati) e abita in un appartamento immerso in un décor Seventy; la più giovane, invece, sembra vivere in una dimensione contemporanea. Le due attrici si chiamano entrambe Helena. Che si voglia dire che la “vecchia” sta chiamando una se stessa più giovane? Siamo alla ricerca del tempo/sesso perduto? Il fatto che si tratti di un atto masturbatorio supporta una tesi comunque traballante. Brown cock di Universal Pussy. Una donna caucasica viene prima sollazzata da un fallo di gomma marrone poi, in una ripetuta sessione di fisting, viene penetrata dalla mano di una donna mulatta. Voci, gemiti, suoni di risacca. Il corto, di nessuna cura realizzativa, sembra rispondere al decalogo sopra riportato nel punto relativo al fare un po’ quel diavolo ti pare e con chi ti pare. Flasher girl on tour di Joanna Rytel. L’artista svedese trans Joanna Rytel, in arte Flasher Girl, sale su un taxi a Parigi, mette un preservativo ad una banana, e si infila la bana-na. Il taxista, giustamente, dice alla signorina che se vuole ma-sturbarsi lo vada a fare fuori della sua macchina. L’idea della Rytel, che poi prosegue il suo corto-documentario con verbalizzazioni e immagini, è che se i maschi possono essere esibizionisti in luoghi pubblici, allora ne ha diritto anche lei che, appunto, è esibizionista. Idee preconcette (anche le femministe non ne sono immuni) ed uso strumentale dei propri gusti soggettivi per farne lotta politica. In primo luogo, di maschi che, in piazza, sgusciano i loro genitali manifestando la loro sessualità con atti espliciti, io, grazie al cielo, ne vedo pochi; il codice penale regola queste occorrenze. Che l’esibizionismo sia un fenomeno maschile e non femminile, potrebbe essere un bell’argomento di conversazione psicologica se si avesse voglia di farlo con le competenze necessarie. Se Joanna se la gode a mostrarsi e riesce a farlo senza infrangere le leggi, faccia pure, lei e i maschi. Se, invece, Joanna legge i limiti dati socialmente alla sua proclività sessuale come un’ingiustizia di genere, non ci siamo: Joanna si espone nuda alla finestra dell’albergo, si lava i genitali nella fontana pubblica e apre le gambe in metropolitana mostrandosi a gente che non ha espresso chiaramente il proprio consenso allo spettacolo. Se, ad oggi, è reato o disagio mentale per i maschi, lo è anche per le femmine o i trans. Parità, no?! Authority di Marit Östberg. Una donna androgina entra in un vecchio edificio per graffitare un muro ma viene sorpresa da una guardia androgina che la inseguirà. Le due si acchiappano, si legano, si sputano addosso (è la guardia ad avere la peggio) ed iniziano a fare un sesso BDSM fatto di stivali leccati, testa sotto lo stivale, coltelli a scatto, bocca usata come posacenere, queening (quando la donna ti si siede in faccia per farsi praticare un cunnilinguo) e penetrazione anale con un manganello (col preservativo!). Ipotesi di lettura: la ribelle incatena l’autorità e la rieduca col piacere in un finale di baci appassionati e masturbazione a piena mano? Forse è così. For the liberation of men di Jennifer Rainsford. Il senso ultimo del corto può essere recuperato solo nella mente della Rainsford. Non porno e, credo, poco erotico anche per coloro che amano i travestiti. Il senso politico del corto è l’unica cosa che lo regge e, anche in questo caso, le domande sono più delle risposte. Come together di Mia Engberg. Chiude l’omnibus porno il corto realizzato dalla Engberg con persone che si masturbano mentre si riprendono con lo smartphone ma, attenzione, non puntano l’obiettivo sui genitali bensì sui loro volti, catturando il godimento e l’orgasmo. Molto breve e simpatico. Uno si chiede anche: “Ma pure a me, in quelle fasi, mi viene quella faccia?”. Sì. Per Dirty diaries, sei politico.

TRIVIA

⟡ Il Decalogo del porno femminista: 

1) Belle per come siamo: non lasciare che la pubblicità, diete, cosmetici, determinino i tuoi bisogni e i tuoi desideri; 

2) Combatti per il tuo diritto di essere eccitata: basta col desiderio femminile piegato ai bisogni del maschio, sii eccitata nei tuoi termini; 

3) Una brava ragazza è una cattiva ragazza: l’indipendenza femminile è vista come specchio di lesbismo o follia, vogliamo vedere delle Thelma and Louise che non muoiano alla fine; 

4) Distruggi il capitalismo e il patriarcato: le donne vengono sfruttate dal business del porno che è specchio di una società patriarcale e capitalista; 

5) Sii sporcacciona quanto vuoi: dì NO quando vuoi e SÌ quando vuoi; 

6) L’aborto legale e libero è un diritto umano; 

7) Combatti contro il vero nemico: l’immagine della donna non può cambiare se la sua immagine è, in sé, tabù; no alla censura ma, soprattutto, no al sessismo; 

8) Sii Queer: identificati nel genere che preferisci e fai sesso con maschi e/o femmine come ti pare; 

9) Usa le protezioni del caso; 10) Fattelo da sola: il porno mainstream non può rappresentare i gusti di ogni singolo, quindi realizzare hard personali è creare un’alternativa che ci piaccia davvero.

Titolo originale

Id.

Regista:

AA.VV.

Durata, fotografia

105', colore

Paese:

Svezia

Anno

2009

Scritto da Exxagon nell'anno 2018; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

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