Dorian Gray

Attrice

La statuaria Dorian "Malafemmina" Gray nacque artisticamente come ballerina classica a La Scala di Milano, dove la disciplina del corpo si forgiava tra rigore e grazia. Da quelle scene austere passò, quasi per naturale evoluzione, al teatro di varietà - un mondo di lustrini e immediata complicità col pubblico - per approdare, infine, al cinema. Qui emerge nel panorama italiano come una presenza magnetica, quasi l'antitesi delle maggiori dive dell'epoca: non la donna angelicata o la popolana sanguigna, ma qualcosa di diverso, di più sfuggente. Il suo debutto significativo arriva con Il Processo alla Città (1952) di Luigi Zampa, dove quella sua bellezza dolce eppure venata di ombre - potremmo dire noir, se il termine non suonasse anacronistico - catturò immediatamente l'attenzione della critica. Tutti, poi, la ricordiamo come la splendida e irraggiungibile Marisa Florian in Totò, Peppino e la... Malafemmina (1956), pellicola che le valse non solo la consacrazione popolare ma anche la partecipazione ad altre due commedie accanto al Principe della Risata, suggellando un sodalizio artistico fortunato.

I ruoli impegnati con Fellini e Antonioni

Ma Dorian Gray non si accontentò di essere relegata al ruolo di bella presenza. Arrivò anche il momento dei ruoli impegnati, quelli che mettono alla prova l'attore oltre la superficie: con Fellini (Le notti di Cabiria, 1957), dove si muoveva tra i bassifondi romani con una delicatezza struggente; con Antonioni (Il grido, 1957), maestro dell'inquietudine esistenziale; con Comencini (Mogli pericolose, 1958), interpretazione che le fece conquistare il Nastro d'Argento come migliore attrice non protagonista. La Gray si distinse anche per le sue apparizioni in produzioni internazionali come La Riva della paura (The River Changes, 1956), anche se - e qui sta forse il cuore della questione - il suo rapporto con Hollywood rimase sostanzialmente marginale. Come osservò con acume Vittorio Spinazzola, la sua figura artistica era "troppo specificamente europea, troppo intensamente legata a una tradizione di femme fatale mediterranea per essere facilmente esportabile". C'era in lei qualcosa di troppo radicato nella nostra cultura, un'intensità che oltreoceano non sapevano, o forse non volevano, decifrare.

Il ritiro volontario dalle scene

A metà degli anni '60, in dolce attesa del figlio concepito con Arturo Toffanelli - giornalista ed editore che molte copertine le aveva dedicato sulle pagine patinate del magazine Tempo -, Dorian Gray prese una decisione che avrebbe definito il resto della sua esistenza: abbandonò le scene e si ritirò a vita privata, trasferendosi a Torcegno, lontano dai riflettori e dal clamore. Questa scelta, all'epoca quasi incomprensibile per chi amava il cinema, contribuì paradossalmente ad aumentare l'alone di mistero intorno alla sua figura. La Gray optò deliberatamente per l'oblio, conducendo un'esistenza riservata e appartata, diventando quello che Steve Della Casa avrebbe poi definito con espressione felice "un fantasma volontario del cinema italiano". Una Garbo nostrana, verrebbe da dire, se il paragone non sembrasse troppo facile.

L'ultimo atto a 80 anni

Schivando con ostinata determinazione ogni invito a riapparire sulle scene o in televisione, la Signora Mangini - ormai vedova, dopo aver cresciuto con dedizione il figlio Massimo Arturo - optò, alla rispettabile età di 80 anni, per il suicidio, sparandosi un colpo di pistola alla tempia. Un gesto estremo che lascia sgomenti, ma che forse rispondeva a una logica tutta sua: quella di chi ritiene di aver compiuto la propria parabola esistenziale, di aver vissuto pienamente la propria parte, e che non vedeva senso nell'attendere noiosamente, passivamente, l'inevitabile declino. Un ultimo atto di volontà, coerente - per quanto tragico - con una vita vissuta secondo regole proprie, mai concedendosi fino in fondo allo sguardo altrui.

Vero Nome:

Maria Luisa Mangini

Luogo e data di Nascita:

Bolzano, 2/2/1931

Luogo E Data Di Morte:

Torcegno, 15/2/2011

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