Femmina folle
Voto:
Il romanziere Richard Hartland (Cornel Wilde) incontra fortunosamente in treno la splendida ereditiera Ellen Berent (Gene Tierney), la quale si invaghisce immediatamente dell’uomo e molla il fidanzato Russell Quinton (Vincent Price). Ellen accelera anche l’unione matrimoniale con Richard e, in breve, fa emergere un’indole patologicamente gelosa tendente a escludere e colpire chiunque si frapponga fra lei e il suo amore.
LA RECE
Super classico sulla psicopatologia femminile poco visto e meritevolissimo di recupero. La Tierney, vabbé, cosa te lo dico a fare...
Melodramma della psicopatologia tratto dall’omonimo romanzo di Ben Ames Williams, il cui titolo originale, preso dall’Amleto di Shakespeare, gioca con Heaven can wait (il Cielo può attendere, 1945), altro filmone con la Tierney. Scelta azzeccatissima per rimarcare un’ovvietà che d’istinto si fatica ad accettare: la bellezza esteriore non è necessariamente segno e sintomo di bellezza interiore. Il racconto di Williams è la dolorosa ma necessaria negazione della kalokagathia greca, dell’istintiva logica lombrosiana, della Gestalt che ci fa percepire l’armonia delle forme come tranquillizzante, dell’etica ed estetica per cui il bello ci fa stare bene. Una Tierney, sublime come un’opera d’arte vivente, veste i panni di una donna il cui quadro patologico fa capo all’organizzazione borderline di personalità: facile agli entusiasmi e altrettanto celere nello scartare e svalutare ciò che non è più di suo interesse; totalmente autocentrata, anche se il suo “amare troppo” sembra specchio di una personalità dipendente; algida e calcolatrice nell’ottenere i vantaggi che vuole assicurarsi, i quali prevedono il non considerare le regole comuni (antisocialità) e la svalutazione e distruzione di qualsiasi rivale con la quale si senta in competizione (narcisismo patologico) fino ad un finale in cui manipolazione e lesività borderline, auto ed eterodiretta, raggiungono il loro apice. I problemi di Ellen non sono edipici, la donna non è vittima di un semplice complesso di Elettra come alcuni recensori fanno notare. Sua madre, l’unica ad avere contezza della patologia della figlia, è, però, inefficace nel porre un freno, spaventata e consapevole del pericolo insito nell’opporsi ad Ellen. Il disgraziato di turno, sulle cui sorti il film fa cornice, è il romanziere Richard che, folgorato dalla bellezza di Ellen, sottostima lo stile con il quale viene approcciato, uno stile sopra le righe sia nei modi troppo insistiti, sia nelle proiezioni trasferali (“lei assomiglia moltissimo a mio padre”), approccio che Richard cerca di calmierare salubremente dicendo ad Ellen che lei non somiglia alla propria madre. Per quanto Femmina folle, comprensibilmente per quegli anni, operi uno “square up” finale salvando le sorti dei buoni e facendo emergere la figura dolce e canonica di Ruth (una Jeanne Crain mica brutta), nondimeno non è possibile leggere la patologia di Ellen come il danno di una società maschilista non ancora pronta ad accettare una donna assertiva ed emancipata che abborda gli uomini e cerca l’intimità fisica col marito. Nessuno, nel film, esprime giudizi negativi verso i suoi modi di fare se non quando essi sono volatili, irrazionali e drammatici. Il carattere di Ellen non è affatto emancipato (il suo Io è fragilissimo e retto da “locus of control” esterni), la sua non è assertività ma prevaricazione che, all’occorrenza, può essere obliquamente manipolativa o direttamente omicidaria. Di certo più misogino il titolo del modestissimo remake Troppo bello per essere vero (1988) che lascerebbe intendere che se una bella donna ti si getta fra le braccia con troppa facilità, gatta ci cova. D’altra parte, Femmina folle non è, ovviamente, il più corretto manuale di psicopatologia; esso è, tuttavia, un efficacissimo dramma melò che si prende i suoi tempi per decollare verso lidi di malessere psichico niente male e verso un finale da court-movie nel quale avremo anche modo di vedere un giovanissimo Vincent Price prima della fase horror. Gene Tierney è semplicemente strepitosa, recitando per sottrazione anche tramite un limitato ventaglio di espressioni facciali e fisiche (tipico segno nei quadri narcisistici non-istrionici femminili). Gene Tierney meritava forse l’Oscar al quale fu nominata e che però le fu scippato da Joan Crawford con il Romanzo di Mildred (1945). L’Oscar, però, arrivò per lo sfavillante Technicolor del direttore alla fotografia Leon Shamroy. Prima delle moderne psicopatiche esagitate di Attrazione fatale (1987) o Basic instinct (1992), la femmina folle aveva questo tipo di classe che, francamente, adesso un po’ manca. Se Leave her to heaven, nel 2018, è stato definito meritevole di essere preservato nel National Film Registry dal Library of Congress, un motivo ci sarà.
TRIVIA
Jacob Morris “John” Strelitzsky “Stahl” (1886-1950) dixit: “Tutto ti viene perdonato quando ottieni buoni risultati al test screening” (Ringler, 2000).
⟡ La drammatica scena del bagno nel lago sostenuta da Darryl Hickman gli costò la polmonite dato che l’acqua era freddissima.
⟡ Femmina folle è uno dei film preferiti da Martin Scorsese, il quale considera l’attrice Tierney una delle più sottovalutate della Golden Era.
⟡ Il ruolo di Ellen sarebbe dovuto andare a Rita Hayworth che però rifiutò l’ingaggio.
⟡ È il secondo film, dopo Vertigine (1944), in cui Vincent Price ha il ruolo di un fidanzato della Tierney con scarsa fortuna.
Titolo originale
Leave Her to Heaven
Regista:
John M. Stahl
Durata, fotografia
110', colore
Paese:
USA
1945
Scritto da Exxagon nell'anno 2014; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0
