l'Implacabile condanna
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Voto:
Spagna, XVIII secolo. Leon (Oliver Reed) viene partorito da una serva muta stuprata da un mendicante ridotto allo stato ferino. Del piccolo Leon si prenderanno cura Don Alfredo (Clifford Evans) e la pia moglie. Già da piccolo, Leon dà segni di licantropia e, da adulto, le sue abitudini belluine creeranno problemi quando s’innamorerà di Cristina (Catherine Feller), figlia del suo datore di lavoro.
LA RECE
Incursione della Hammer nella licantropia. Ai tempi trovò una tiepida accoglienza, forse perché poco horror e troppo dramma romantico, ma il film non è affatto male. Vintage per intenditori.
Interessante gotico bacchettone della Hammer che rivisita il mito del licantropo riadattando non poco il romanzo "The Werewolf Of Paris" di Guy Endore. La pellicola, forse, è l'unica che tratta il mito dell'uomo-lupo come una condanna divina e non come la trasmissione di una maledizione da morso a morso. Anthony Hinds, produttore e sceneggiatore, traspose il mito nella Spagna ultracattolica del 1700 e, prima di mostrare le nefande gesta del virile e belluino Oliver Reed, le fa precedere da un preambolo di 50 minuti che parte dal concepimento del piccolo Leon. Immerso un’atmosfera cattolico-manichea (cioè, cattolica), la genesi del licantropo lo vuole figlio di una muta e di un mendicante ridotto a essere una bestia dopo essere stato sbattuto in cella e dimenticato da un barone sadico (Anthony Dawson). Leon, figlio di una violenza carnale, nasce il giorno di Natale, la madre muore per complicazioni e, al momento del battesimo, l’acqua del fonte battesimale ribollirà infausta. Per Leon Corledo sarà una dura lotta contenere la propria doppia natura. La prima parte del film, con tutta la narrazione dell'inusuale processo di licantropizzazione, risulta decisamente più interessante della seconda che si attesta sui più usuali lidi delle tipiche scorribande da uomo-lupo, con qualche tocco in più dato dall'amore impossibile fra Leon e la benestante Cristina. Il licantropo della Hammer lotta, quindi, fra razionale e irrazionale, fra passione animale e compassato contegno civile: la bestia esce fuori, ovviamente, quando la luna è piena ma, soprattutto, non si contiene se il giovane Leon si lascia andare a comportamenti socialmente discutibili tipo andare al bordello. L'amore vero, soprattutto se benedetto dalla Chiesa, potrebbe essere la cura ma troppe sono le tentazioni e gli attriti con una società che riconosce in Leon un diverso. Bravi gli attori, molte le scollature generose e buon make-up per un Oliver Reed a inizio carriera. La regia è abbastanza piatta ma l'uso delle luci compensa. Ai tempi, il film fu percepito dal pubblico inglese come una delusione in quanto prometteva più di quanto mantenesse; in effetti, più che horror qui si tratta di dramma romantico. Di conseguenza, l'Implacabile condanna fu l'unica incursione della Hammer nel mondo della licantropia, e solo successivamente se ne riconobbero i meriti.
TRIVIA
⟡ Personaggione sopra le righe autoproclamatosi "Mr. England", Oliver Reed rimpiangeva solo due cose: "Non aver potuto bere in tutti i bar possibili e non essere stato a letto con tutte le donne del mondo". Alcolizzato, dislessico e manesco, Reed fu uno dei grandi attori Inglesi che perse il ruolo di James Bond proprio per le sue abitudini all'alcol e alle risse. In una delle sue mitiche scazzottate al pub, si beccò tante di quelle ferite in faccia che gli ci vollero 36 punti di sutura che gli lasciarono cicatrici permanenti. La sua visione delle donne non era certo progressista: "Credo che la mia donna non dovrebbe lavorare fuori casa. Quando torno a casa stanco mi aspetto che lei sia lì e che mi faccia trovare tutto pronto. Capite cosa intendo: che mi prepari il bagno e che mi metta a letto. Questo è il tipo di lavoro che dovrebbe fare, in cambio, lei può allevare i miei figli, e se qualche altro uomo ci dovesse provare, lo pesterei". Reed, ovviamente, ebbe un sacco di donne poiché rispettava alla lettera il Teorema di Ferradini. L'attore morì per un attacco di cuore il 2 maggio 1999 a Malta mentre stava girando il Gladiatore (2000) di Ridley Scott, obbligando il regista a investire 3 milioni di dollari per ricreare il suo volto in digitale in modo che potesse apparire nelle scene che gli mancavano da girare. Impossibile non citare un episodio che sembra inventato da Manuel Fantoni. Nel 1973, Steve McQueen si recò in UK per incontrare l’attore. I due andarono a sbevazzare nel nightclub preferito da Reed. Quest’ultimo bevve così tanto che non riuscì a tenersi più in piedi e, improvvisamente, vomitò addosso a McQueen. Lo staff riuscì a procurare dei vestiti nuovi all'attore americano ma non si trovò un paio di scarpe. McQueen raccontò: "Ho dovuto passare tutto il resto della notte puzzando del vomito di Oliver Reed".
Titolo originale
The Curse Of The Werewolf
Regista:
Terence Fisher
Durata, fotografia
91', colore
Paese:
UK
1961
Scritto da Exxagon nell'anno 2009; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0
