It follows
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Voto:
L’appuntamento fra Jay (Maika Monroe) e Hugh (Jake Weary) parte bene, con un rapporto sessuale, ma finisce male, con la ragazza “contagiata” da una maledizione che prima funestava il ragazzo e della quale lui si è liberato passandola a Jay: il Male ha la forma di un’entità che può assumere l’aspetto di qualsiasi persona e che seguirà ovunque la vittima. L’unico modo tramite il quale Jay può liberarsi di quell’incubo è fare sesso con un’altra persona.
LA RECE
Slasher post-post moderno con una strana e spietata entità che bracca le sue vittime come una malattia sessualmente trasmissibile. La colpa, il disagio. Interessante. Peccato per quel finale.
Film indie girato tutto in Michigan per sfruttare i vantaggi fiscali di laggiù e incorniciato in un budget ridotto di 1,3 milioni di dollari con un sorprendente ritorno di 20 milioni che premia questa idea di un killer metafisico che prende la forma di persone lente e goffe che inseguono le vittime in ogni dove. L’idea venne al regista Mitchell fondendo due timori differenti emersi nella sua vita in tempi diversi: da bambino, l’incubo di essere perseguitato da un imprecisato individuo che cercava di acciuffarlo pur muovendosi in modo lento; da adulto, il timore di qualche malattia sessualmente trasmissibile. Con rimandi impliciti ai lavori di Romero e Carpenter, Mitchell costruisce una storia collocata in un tempo e in un luogo non chiaramente definito (ci sono elementi che vanno dagli anni ’60 alla fine degli 80’) così che il tutto appaia come un brutto sogno abitato da una gioventù non propriamente serena che lascia trasparire disturbi alimentari, tossicodipendenze e tendenze suicide o autolesive. A una prima e più facile lettura, It follows sembra la metafora di una qualche mortifera malattia venerea che passi di corpo in corpo, condannando il malcapitato di turno; tuttavia, “it”, la cosa che perseguita o che segue, può essere intesa come manifestazione tangibile di un più ampio disagio, un senso di colpa, un male di vivere che, già in fieri, infesta il copro e le menti dei ragazzi che Mitchell evita di dipingere, come invece spesso accaduto nell’horror giovanilistico statunitense, come un accrocco di ragazzotti dal bicipite guizzante e giovani donne disponibili. Innegabile il potere inquietante di queste persone sfrante che, silenziosamente, inseguono i condannati, senza che gli altri possano percepirli; non male due o tre visioni forti fra le quali la ragazza uccisa sulla spiaggia. Poi, Michell un po’ si perde e, per il finale, organizza una brutta resa dei conti in piscina con il gruppo di giovani coalizzato che cerca di fermare la minaccia, tanto più brutta quanto più difforme dai toni precedentemente proposti. L’assenza di splatter, certi silenzi e un filo di intimismo hanno fatto sentire molti spettatori al cospetto di un’opera di inusitato acume, e via con lodi sperticate per un film che intelligente lo è ma è anche ben distante dal capolavoro. È intelligente il modo in cui il regista ha istruito un new-slasher senza sangue, abitato da giovani non asini e braccati da un’idea orrorifica semplice e funzionale; è intelligente il modo in cui ha ripreso gli ambienti e arricchito il tutto con lo score dei Disasterpeace. Meno intelligente il fatto che il gioco del contagio e dell’inseguimento venga riproposto senza particolari scossoni, e poco esaltante anche la moraletta che emerge in conclusione relativa al potere salvifico dell’amore sacrificale. La sensazione finale è che It follows non riesca a trovare una quadra e rappresenti un’ottima occasione per certi versi incompiuta. E dio perdoni coloro che hanno definito Mitchel il nuovo Cronenberg. Comunque, ce ne fossero. Con un seguito in produzione: They follow.
TRIVIA
David Robert Mitchell (1974) dixit: “Ho lasciato il Michigan per andare a Talahassee alla scuola di specializzazione della Florida State University. […] L'idea era che, be’, dobbiamo lavorare, quindi mi sono trasferito a Los Angeles […] con l'idea ingenua che avrei fatto dei lungometraggi nel giro di un anno. […] Avevo pochissimi soldi. Cercavo qualsiasi lavoro potessi trovare. Ho fatto qualche lavoro da assistente sociale. Sono finito a lavorare come postino. Sono arrivato a Los Angeles pensando: "Dirigerò degli spettacoli in men che non si dica” quando, in realtà, stavo portando le auto della gente all’autolavaggio. È stata un'esperienza umiliante cercare di sopravvivere a Los Angeles. Alla fine mi sono fatto strada: sono diventato assistente montatore, poi montatore. Ho fatto pubblicità e trailer di film. È così che ho vissuto” (lwlies.com).
⟡ Nessun dato, per ora.
Titolo originale
Id.
Regista:
David Robert Mitchell
Durata, fotografia
100', colore
Paese:
USA
2014
Scritto da Exxagon nell'anno 2018; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0
