Liebes lager

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Voto:

I gerarchi e militari tedeschi che hanno attentato al Führer trovano la morte. Le loro donne, invece, arrestate e detenute nel Lager dell’Amore, pur restando ariane di razza eletta, si devono sottomettere alle lussurie dei connazionali o, a propria volta, perderanno la vita.

LA RECE

Bizzarro e scalcinato naziploitation che mescola ironie (che non fanno ridere) a momenti sexploitation. Ricordo soprattutto Vanni Materassi che decide di scappare dal lager vestito da tirolese. Non bene.

Sortita maldestra nel naziploitation dello sceneggiatore e avvocato Gicca Picalli, lui che era più affine al western, con un effetto di ridicolo spaesamento evidente fin dal caveat in esergo: “I fatti narrati in questo film non sono mai avvenuti. Ma avrebbero potuto succedere”. Be’, certo, nella Seconda Guerra Mondiale è successo un po’ di tutto, quindi... Ancora più delirante, ma consona all’ipocrisia exploitation, la chiusa al medesimo messaggio testuale: “… Questo film vuole essere un simbolico omaggio alla donna, alla sua lotta per sottrarsi alla fallocrazia”. Perfetto, una lotta al fallocentrismo con uno stuolo di donne nude dall’inizio alla fine che, però, badate bene, nell’ultima sequenza marciano impugnando picche sulle quali sono conficcati i peni dei loro carcerieri. Allora sì. Dopo cotale seriosità, il regista Palli decide in maniera stralunata (o forse no, visto il coevo Sturmtruppen) per un naziploitation sui generis con notevoli tocchi comici, a partire dalla divertita musica di Alessandro Alessandroni. Non si capisce, quindi, se di Liebes lager vada colta la mestizia di un racconto con le mogli dei nazi-traditori obbligate al sesso, oppure sorridere per l’ossessività del burocrate Luciano Pigozzi che ci tiene ad impiccare le donne in modo conforme ed uniforme. Traspare, a sprazzi, una certa pungente ironia circa i gerarchi ormai disinteressati all’ideale nazista e unicamente intenti ad arraffare il possibile e godersi i cascami. Scena cult in linea con i truci dettami dell’erossvastica: l’esplorazione rettale e vaginale, con una detenuta che perde malamente la verginità; il tutto, però, senza morbosità grafiche (ma si dice che qui colpì la censura) facendosi bastare il nudo integrale delle comparse e un minaccioso vasetto di vaselina scoperchiato. Pauperismo come regola di vita produttiva, noia solenne, gag clamorosamente non comiche, nessun erotismo e cast di raccattati; il Pigozzi di cui sopra è il nome più altisonante dell’intero manipolo, per dire. Crossover che può sperare nel magnanimo spirito di recupero starcultistico di chi volesse riesumare pellicole rare o, semplicemente, brutte. Mal si accorda, però, all’attuale presenza di smartphone e tablet poiché impossibile che, durante i cento minuti di visione, non si venga colti dall’irresistibile tentazione di distrarsi. Finì qui la breve carriera registica di Lorenzo Gicca Palli. Sulla locandina, però, nulla da dire.

TRIVIA

⟡ Nessun dato, per ora.

Regista:

Vincent Thomas [Lorenzo Gicca Palli]

Durata, fotografia

103', colore

Paese:

Italia

Anno

1976

Scritto da Exxagon nell'anno 2013; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

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