Moebius

-

Voto:

Un padre infedele (Jae-Hyun Cho) si trova a dover gestire la sessualità del figlio (Yeong-ju Seo) dopo che quest’ultimo ha subito un’evirazione per opera di sua madre (Eun-woo Lee), folle per i tradimenti del coniuge. Il padre si sforzerà di trovare modi per consentire al figlio di avere orgasmi pur senza penetrazione, finché non opterà per un trapianto di pene: il suo.

LA RECE

Edipicità a gogò. Che il sesso che ci portiamo appresso debba essere necessariamente tormento e perdizione… boh, forse sì, ma Moebius di Kim Ki-duk non è la pellicola con le carte in regola per convincermi della cosa, né capace di farsi dire buon cinema.

Se fossi un recensore serio e compassato, di Kim Ki-duk trovereste qui l’incantata disanima di Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera (2003) oppure la descrizione dei sottili drammi di Ferro 3 - La casa vuota (2004). Siccome, invece, siamo in uno compendio di pellicole al limite, mi tocca scrivere, e vi tocca leggere, di Moebius, film scult di Kim Ki-duk descritto sinteticamente dallo stesso regista come “a penis journey”, il viaggio di un pene, un duro viaggio. Il sudcoreano decide di parlarci di pene e famiglia, anzi, di una coincidenza di essi, di come il pene sia la famiglia e di come il desiderio sessuale permei la comune vita di noi mortali e di quanto, per esso, si sia disposti ad essere maltrattati. Per Kim, il penis journey è, dunque, portare a spasso per il mondo il nostro desiderio, incocciando malamente nelle vite altrui. In Corea del sud, ameno luogo nel quale le discussioni sul sesso sono moralmente silenziate, il gioco di Kim si fa avanguardistico e coraggioso, quasi educativo; non a caso, sulle prime, il Korea Media Rating Board bandì la pellicola. In Occidente, in quella e quell’altra manifestazione cinematografica dove il film passò, il pubblico rise e schernì le fatiche del buon Kim che ci propina, già sulle prime, una madre alquanto alterata che, gambe all’aria, si mena col marito, tenta di mozzargli il fallo con una lama (altro simbolo fallico) e, poi, opta per salvare dal dominio dei sensi il figlio, pescato a masturbarsi, tagliandogli il pene e mangiandoselo. Insomma, Moebius è un condensato arty di edipicità, incestuosità ed erotismo parecchio distorto, il tutto infiocchettato dalla totale assenza di dialoghi fra i protagonisti. Ripeto: un film orientale privo di dialoghi; notizia ad uso e consumo di coloro che sono ben disposti alla narcolessia da divanetto. Da una peculiare esperienza personale, Kim Ki-duk apprende che tutto il corpo si può fare organo erogeno e illustra la cosa descrivendo la dolorosa ricerca paterna di un modo per garantire al figlio il piacere sessuale pur non usando il pene, approdando, con grande banalità, al dolore come viatico per l’orgasmo. Ma c’è anche la violenza sessuale ai danni della commessa di un negozietto di quartiere, la vendetta di quest’ultima, le tenerezze che la donna presta al giovane che poi riacquisterà il pene donatogli dal padre, e l’apprendimento di una tecnica erogena sopraffina che consiste nel piantare una coltellata nella spalla di un uomo evirato e “masturbare” il pugnale così che l’estremo dolore divenga estremo piacere. Chiusura tragicissima, poi, dato che la moglie, quella che si era mangiata il pene del figlio, torna a casa e, accortasi che il pene del marito è ora montato sul figlio, a lui dirige il suo desiderio. Va dove ti porta il cazzo, insomma. Molto duro non riderci su ed evitare basse ironie, cosa che mi guardo bene dal non fare, soprattutto per la pretesa di questo inguacchio depressivo-freudiano-familiare di spacciarsi come opera alta, con tutti ‘sti non detti a sottolineare la solita incomunicabilità umana o, forse, il fatto che la comunicazione è seconda all’istinto. Una certa eleganza la si recupera e la trama è sufficientemente lineare da permettere alla storia di essere seguita senza difficoltà. Però, questo gioco asettico e morboso si arena, per chi non è avvezzo ai sadomasochismi circonvoluti come l’anello di Moebius, sul bel seno (rifatto) dell’attrice, e tutto l’erotismo della barocca e gessosa pellicola di Kim si riduce a una donna che, fra le corsie del negozietto, si abbassa le spalline e si mostra. Sarà che sono un’anima semplice. Che il sesso che ci portiamo appresso debba essere necessariamente tormento e perdizione… boh, forse sì, ma Moebius di Kim Ki-duk non è la pellicola con le carte in regola per convincermi della cosa né capace di farsi dire buon cinema. Voto anche sì generoso.

TRIVIA

Kim Ki-duk (1960-2020) dixit: “È una perdita enorme per la società coreana che anche gli studenti che hanno talento in campi non accademici vadano all'università. Gli studenti dovrebbero concentrarsi sullo sviluppo dei propri talenti invece di sprecare il loro tempo all'università” (IMDb.com).

⟡ Nel 2017, un’attrice anonima accusò il regista di averla molestata sessualmente sul set di questo film e di averle fatto pressioni perché recitasse una scena sessuale che lei aveva rifiutato di fare, motivo per cui aveva abbandonato il set ed era stata sostituita da Lee Eun-woo. Queste accuse, non supportate da prove sostanziali, non ebbero ripercussioni penali per il regista ma, in pratica, distrussero la sua carriera in Corea del Sud. Egli, quindi, decise di andarsene dalla propria nazione e prendere residenza in Lituania. Ed è proprio a Riga che Kim Ki Duk è deceduto l’11 dicembre 2020, a 59 anni, per complicazioni seguenti al contagio da Covid-19. 

⟡ L’idea della pietra sfregata con forza sulla pelle fino allo spellamento, venne al regista dopo l’esperienza che fece ai tempi del servizio militare. Poiché soffriva di una micosi nota come piede d’atleta, egli si sfregò la pelle con una pietra fino a farla sanguinare. In quell’occasione si accorse del dolore ma anche di un certo piacere connesso ad esso, poi seguito da un dolore più acuto, come descritto nel film.

Titolo originale

Moebiuseu

Regista:

Kim Ki-duk

Durata, fotografia

89', colore

Paese:

Corea del Sud

Anno

2013

Scritto da Exxagon nell'anno 2018; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

commercial