l'Odio
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Sullo sfondo di una banlieue parigina scossa dagli scontri con la polizia, seguiamo quasi 24 ore di vita, dalle 10:38 alle 6:01, di tre soggetti difficili: Vinz (Vincent Cassell) che sogna di essere un duro del cinema, Hubert (Hubert Koundé) pugile amatoriale, e Said (Saïd Taghmaoui) che scarica parole a fiumi. Quando Vinz troverà una pistola persa da un agente di polizia, per i tre inizierà un viaggio che difficilmente potrà risolversi in un lieto fine.
LA RECE
Caduta libera nella Banlieue. La macchina da presa di Kassovitz, nervosa e partecipe, abbraccia i tre protagonisti – Vinz, Hubert e Saïd – con un'intimità antropologica che evoca il documentarismo militante ma, grazie al cielo, non lo è. Buon cinema divenuto meritatamente cult.
"L'odio nutre l'odio." Bianco e nero abrasivo. Il regista apre e chiude la sua opera con una barzelletta tragicamente profetica – l'uomo in caduta dal cinquantesimo piano che, ad ogni livello, si ripete "fin qui tutto bene" – metafora cristallina di un'intera generazione sospesa nel vuoto, consapevole dell'imminente impatto.: famiglie, ragazzi, società in caduta libera senza possibilità di salvezza, con l'unica preoccupazione di non finire completamente sfracellati al suolo, esito certo. Nelle ventiquattrore ritratte, Kassovitz, anche alla sceneggiatura, dipinge più che bene i tre protagonisti e i loro caratteri, evitando il patetico e lo scontato, aggiungendo persino elementi ironici. È cinema beur, erede diretto di quel cinema vérité che Jean Rouch e Edgar Morin avevano codificato in Chronique d'un été (1961); la reale forza della pellicola sta nella naturalezza dei gesti e delle parole che, come prevedibile, sono crude e dirette. La storia segue i ragazzi con movimenti di camera nervosi quanto i protagonisti, partecipando alle loro attività criminose senza voler forzare didascalie. Splendida la fotografia in bianco e nero di Pierre Aïm e le immagini dei ragazzi che mimano i personaggi del cinema, in cerca di un'identità di successo che, nello squallore della periferia, non può essere trovata. Vincent Cassel, Said Taghmaoui e Hubert Koundé formano un trio che oscilla tra il tragico e il grottesco, emulando le pose del cinema americano (Scorsese, Coppola, De Palma) in una parodia che ne rivela tutta la disperata ricerca identitaria. Memorabile la scena davanti allo specchio in cui Vinz/Cassel mima il "you talkin' to me?" di Travis Bickle in Taxi Driver (1976), trasformando l'omaggio cinefilo in un'analisi, come detto, di ricerca identitaria. Centrale la scena alla galleria d'arte in cui Vinz vorrebbe commentare un'opera ma non ci sono più interlocutori intorno a lui, una vera allegoria della sua condizione sociale: anche quando la persona volesse fare un passo avanti, la società non sarebbe lì a supportarlo; confini invisibili che determinano chi ha diritto alla parola nella sfera pubblica. Certo, il film non è immune da occasionali scivolamenti nel semplicismo dialettico, come nel confronto verbale con la polizia che sa di manifesto politico più che di verità drammaturgica; strizzatina d'occhio ad un certo pubblico che, in effetti, ha ben reagito. Ad ogni modo, Kassovitz dimostra quella che Gilles Deleuze chiamerebbe "un'immagine-tempo" capace di cristallizzare la tensione sociale in pura cinematografia. Innegabile, comunque, la capacità del film di far penetrare lo spettatore nell'ambiente che si prefigge di descrivere; molti di coloro che hanno avuto la possibilità e, in parte, la fortuna, di frequentare una certa periferia ostile, non mancheranno di notare certe similitudini fra la banlieue francese e la propria esperienza di vita. Diversi i momenti di tensione per le imprevedibili gesta di questo trio che, alla fine, riesce a risultare anche simpatico. A Cassell spetterà lo stardom cinematografico europeo e parecchia attenzione mediatica per il matrimonio con Monica Bellucci. Kassovitz risulterà sorprendentemente versatile nel ruolo del tenero Nino in il Favoloso mondo di Amélie (2001) o nella regia del neo-noir I Fiumi di porpora (2000). Allo spettatore, invece, spetta un bel pugno allo stomaco assestato da un film capace, dopo anni, di intrattenere e far riflettere, in una ruvida e ben eseguita cornice artistica. Must.
TRIVIA
Mathieu Kassovitz (1967) dixit: “Non so se sia davvero importante, o anche intelligente, quando la gente mi dice che sono lo Spike Lee bianco, perché a Spike Lee hanno detto che era il Woody Allen nero” (IMDb.com).
⟡ Il film vinse il premio alla regia al Festival di Cannes del 1995.
⟡ Il naziskin che Vinz vuole uccidere è il regista Kassovitz.
⟡ Nella galleria d'arte, una ragazza (Julie Maudeuch) chiede ad Hubert: "Non ci siamo già incontrati da qualche parte?". Sì, i due attori avevano lavorato insieme nel primo film di Kassovitz, Métisse (1993).
⟡ Quando i tre vanno da Asterix, sul citofono di casa di quello c'è un nome: Cassell.
Titolo originale
La Haine
Regista:
Mathieu Kassovitz
Durata, fotografia
98', colore
Paese:
Francia
1995
Scritto da Exxagon nell'anno 2006; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0
