Oltre ogni limite
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Voto:
Marjorie Dyer (Farrah Fawcett) vive in una casa suburbana del New Jersey con due coinquiline, Terry (Alfre Woodard) e Patricia (Diana Scarwid). Una mattina, mentre le coinquiline sono al lavoro, Marjorie viene aggredita nel proprio giardino da Joe Knutson (James Russo), un uomo che l'aveva aggredita nei giorni precedenti e che ora tenta di stuprarla. Nella colluttazione, la donna riesce ad avere la meglio sull'uomo che, ora, viene tenuto prigioniero, ribaltando, così, i rapporti di forza. Quando Terry e Patricia tornano a casa, scoprono la situazione e si dividono sulla condotta da tenere: liberare l'uomo affidandolo ad un'inefficace giustizia, oppure ucciderlo e seppellirlo in giardino?
LA RECE
Rape & revenge atipico con la Fawcett che cerca riscatto artistico in un kammerspiel in cui i rapporti vittima-carnefice si ribaltano. L'adattamento teatrale di Mastrosimone esplora la giustizia privata attraverso tre donne che affrontano diversamente il trauma, ma risulta poco ficcante sia nell'espressione registica, sia, soprattutto, nella narrativa. Ad ogni modo, per un pubblico mainstream può stimolare riflessioni etiche su vendetta e perdono.
Rape & revenge sui generis con una Fara Fawcett (1947-2009), icona post Charlie's Angels in cerca di legittimazione artistica, che dà il massimo in un kammerspiel riadattato per il grande schermo da William Mastrosimone a partire dal suo stesso pezzo teatrale; dietro la macchina da presa, Young (1924-2024) regista della scuola vérité che, dopo aver esplorato gli emarginati in Alambrista! (1977), affronta con Extremities un territorio psicologico parecchio insidioso: l’inversione dei rapporti di potere nella relazione vittima-carnefice e, ancor più, l’inefficacia delle istituzioni a governare e cautelare, da cui la "necessità" del comune cittadino di farsi giustizia da sé. Restringendo parecchio il respiro al mezzo filmico, l’adattamento del drammaturgo non stravolge il lavoro teatrale e, quindi, tutto si costruisce per rispettare l’unità aristotelica di luogo e tempo, trasformando l'abitazione suburbana in arena gladiatoria nella quale l’uomo compie violenza sulla donna e quest’ultima, affrancatasi, compie violenza sull'uomo, per poi dover affrontare la diseguale comprensione delle proprie simili. In realtà, come R&R, il film risulta poco coraggioso nella rappresentazione della violenza, e anche alcune soluzioni di ripresa, che dovrebbero stimolare l’immedesimazione nei due protagonisti - primi piani POV -, aumentano la staticità della narrazione. D’altra parte, risulta centrale nella tematica il fatto che la donna non subisca, di fatto, uno stupro penetrativo ma certamente sì uno stupro della propria serenità e della propria persona in senso lato, tutto ciò mentre, in effetti, è la casa ad essere vandalizzata nel conflitto, squassata, speculare proiezione dell'inconscio traumatizzato della donna anche del disordine psichico dell’uomo. Ottimi alcuni momenti nei quali si recupera energia (la scena della bomboletta spray) e nei quali lo spettatore, empaticamente, partecipa alla furia della donna nella speranza che ella possa liquidare definitivamente il mostro umano. Questo non deve succedere, però, perché il definitivo placcaggio subito da Joe, il suo essere ingabbiato, consente l’emersione del sottotesto femminista tramite la figura delle coinquiline Patricia e Terry, riflesso di diversi approcci alla solidarietà femminile di fronte al trauma. Patricia incarna la razionalità psicologica e legale, Terry l'emotività empatica veicolo di un ennesimo drammatico segreto. Il gioco terminale, per lo spettatore, diventa quello di doversi confrontare con i propri pregiudizi sulla giustizia privata o pubblica, nell'ottica, ieri come oggi, che le istituzioni non vogliono, non devono agire in maniera belluina contro i rei, posizione etica che, tuttavia, consente ai delinquenti più belluini di continuare a terrorizzare le loro vittime (il più delle volte donne) fino ai più tragici epiloghi. D’altra parte, riecheggiando Cane di paglia (1971) di Peckinpah e, poi, il nostro un Borghese piccolo piccolo (1977) di Monicelli, la questione basilare resta quella del quanto una vittima possa spingersi nella propria vendetta senza, o prima di, diventare carnefice. Rende più complessa la disamina il fatto che per lo stupratore seriale Joe, si scrive un personaggio simultaneamente predatore e, scopriremo al termine, bambino spaventato, incarnazione delle contraddizioni di quelle mascolinità tossiche tipiche di identità gravemente immature e, quindi, connotate da pericoloso narcisismo patologico. Tenuto conto della sua natura mainstream, il film somministra una narrativa e uno shock di buon livello, anche se il divieto ai minori di 18 dato ai tempi suona esagerato. Ciò detto, non si può non notare una condizione registica troppo poco creativa, prona alla scrittura teatrale e, di fatto, uno sviluppo dialogico fra i protagonisti che è prevedibile, una volta compresi i ruoli di ogni soggetto. Il finale, oltretutto, suona come un “nulla di fatto” che lascia irrisolte le questioni fondamentali sulla natura della vendetta e del perdono. Insomma, non un capolavoro e, sfortunatamente per la Fawcett, neppure utile a farla balzare nello stardom e scardinarla dal suo bel personaggio televisivo; tuttavia, lo spettacolo si fa guardare e sono certo che il mainstream lo avvertirà come molto più sconvolgente di quanto lo possano percepire i conoscitori di cinema di genere, lupi di mare dal cuore ormai eroso dal nitrato d'argento. Quindi, consigliamolo alle coppie, così da stimolare adrenalina e discorsoni.
TRIVIA
⟡ Farrah Fawcett dichiarò che, durante le riprese, lei e Russo si schiaffeggiarono davvero a vicenda proprio come facevano sul palco del teatro per simulare al meglio la realtà. Inoltre, durante la produzione teatrale off-Broadway, i due attori dovevano farsi assistere da delle guardie del corpo perché la violenza espressa era così reale che alcune persone nel pubblico erano in precedenza saltate sul palco per difendere la Fawcett.
⟡ I due famosissimi critici Gene Siskel (1946-1999) e Roger Ebert (1942-2013) hanno entrambi criticato il film in quanto tentativo fallito di affrontare temi complessi, cassandolo come uno dei peggiori film del 1986.
Fast rating
Titolo originale
Extremities
Regista:
Robert Milton Young
Durata, fotografia
89', colore
Paese:
USA
1986
Scritto da Exxagon nell'agosto 2025 + TR; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0
