il Sangue delle bestie

Voto:

Film documentaristico.

LA RECE

Rivelazione cruda della realtà che trascende la semplice documentazione per raggiungere una dimensione quasi metafisica. L'orrore non per scioccare ma per far emergere la nostra complicità in un sistema sociale e industriale del prodotto e della morte.

Mattatoio parigino a metà del XX secolo. Quindi, astenersi animalisti, oppure, chessò, lo guardino per trovare feroce conferma alle loro posizioni. Lo guardino, oppure no, anche i sindacalisti per notare come, ai tempi, non fosse garantita nessuna sicurezza sul lavoro, e quelli dell'Ufficio d'Igiene per il disumano lordume. Tutti, però, si guardi il Sangue delle bestie per riflettere sul peso che si ha su questo pianeta come singolo individuo, e come la società industriale sia stata capace di relegare in un angolo oscuro l'orribile prassi che sottende alle nostre (in)discutibili necessità, qui chiaramente alimentari ma il discorso potrebbe essere esteso a tanto altro. Insomma, dobbiamo mangiare e qualcuno lo sporco lavoro dovrà pur farlo. Prima il bacio degli amanti, poi si passa a un paesaggio di coltelli e vapori caldi che nascondono animali dalla muscolatura tesa nella morte, scannamenti, scotennamenti e, come preannuncia il titolo, sangue. Parecchio sangue. Una gradevole voce femminile, in contrasto, accompagna. Come dire che, alle spalle della grande città irradiata delle mille luci della modernità, rantolano e agonizzano gli stessi antichi istinti e metodi. Franju infila nel budello della vita la telecamera con un'eleganza non comune e apre a diverse riflessioni, nessuna delle quali è tranquillizzante: il senso di colpa, la non modernità del moderno, lo svantaggio di molti per il bene di pochi, la razionalizzazione e lo specismo come instabili meccanismi di difesa. E poi quella scioccante giustapposizione tra la banalità quotidiana della periferia parigina e l'orrore metodico dell'abbattimento industriale. La fotografia in bianco e nero di Marcel Fradetal trasforma le scene di macellazione in tableaux vivants di natura morta con una precisione visiva che anticipa l'estetica di fotografi come Diane Arbus, creando una poetica dell'orrore. Un capolavoro ormai antico, storicamente affascinate ma non meno terrificante che ti inchioda in testa la morte del cavallo e rispetta lo spettatore non imboccandolo con una morale preconfezionata espressa dalla solita filippica extradiegetica ma, semplicemente, ti accompagna a guardare e poi ti lascia da solo a decidere quanto tu voglia sentirti rotella di questo immenso ingranaggio e quanto tu lo sia comunque, che lo si voglia o meno. Consigliato ma assolutamente non per tutti.

TRIVIA

Georges Franju (1912-1987) dixit: "Ammetto di essere molto più sensibile alla scenografia che alla dinamica. Quando ero piccolo ho visto un fuoco per la prima volta, e dopo, dietro, ho visto una facciata nuda. Nella memoria mi si è fissata la visione di qualcosa di molto artificiale e strano: una facciata senza niente dietro. E cosa c'era davanti? Spazio... infestato" (IMDb.com).

⟡ Nessun dato, per ora.

Titolo originale

Le Sang des Bétes

Regista:

Georges Franju

Durata, fotografia

22', b/n

Paese:

Francia

Anno

1949

Scritto da Exxagon nell'anno 2012 + TR; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

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