Tras el cristal
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Voto:
Il pedosadico Klaus (Günter Meisner), ex ufficiale nazista, tenta il suicidio dopo aver compiuto l'ennesima brutalità. L’atto non gli riesce e Klaus finisce confinato in un polmone d'acciaio, assistito dalla nervosa moglie Griselda (Marisa Paredes) e dalla figlia Rena (Gisela Echevarria). La routine viene interrotta dall'arrivo di Angelo (David Sust), un sinistro giovanotto che impone la sua presenza in casa nel ruolo di infermiere personale di Klaus.
LA RECE
Film non per tutti gli sguardi che condivide il territorio tematico di opere come il Portiere di notte (1974) della Cavani per l'esplorazione delle dinamiche vittima-carnefice, qui su un territorio ancor più sensibile, mantenendo un'estetica più vicina allo spaghetti giallo degli anni '70-'80. Disturbante ma cinematograficamente pregevole.
Film difficile da definire e ancor più difficile da guardare. Tras el cristal, noto internazionalmente come In a glass cage, ha una sua ben nota nomea fra gli appassionati di cinema estremo, la nomea che può avere un film ottimamente realizzato che mette in scena un tipo di violenza poco accettata anche dal cinefilo più smaliziato: l'omicidio di bambini. Il film fu realizzato nel periodo di permessivismo cinematografico seguito alla caduta del regime franchista, periodo socialista in cui la censura era stata sospesa; la storia, nonostante non vengano offerte prove reali, dovrebbe svolgersi proprio nell'era del Caudillo. Proposto inizialmente a qualche festival e pubblicizzato furbescamente, ma insensatamente, come film gay, Tras el cristal ottenne il risultato di far scappare dalla sala molti degli spettatori omosessuali che avevano pagato il biglietto sperando di vedere altro. Fra l'horror, il dramma e l'erotismo bizzarro, Tras el cristal viene girato da Villaronga con un’eleganza che tenta di rendere in maniera accettabile ciò che difficilmente sarebbe accettato altrimenti. Benché il film non lesini in situazioni disturbanti, la pellicola è, comunque, meno esplicita di quello che ci si potrebbe aspettare; diciamo che se si reggono i primi cinque minuti, c'è una buona possibilità che si possa sostenere la visione dei restanti. Un disclaimer nei titoli di coda tiene a precisare che, ovviamente, nessun ragazzino è stato maltrattato o ferito durante le riprese ma, in più di una situazione proposta, la tentazione è quella di girare lo sguardo, mentre si rimpiangono le allegre buffonerie degli ultragore che molto pubblico mainstream considera estreme. Villaronga è abile a mantenere viva un'atmosfera minacciosa e morbosa e, contemporaneamente, riesce a infilare sequenze tecnicamente pregevoli che, in qualche misura, ricordano i lavori di Dario Argento. L'atmosfera del giallo all'italiana, ad esempio, è resa perfettamente nella scena notturna che vede il confronto fra Griselda e Angelo. Tras el cristal funziona bene sia come mero horror che come riflessione sulla perversione sessuale ma non rispetto alla pedofilia, bensì relativamente al meccanismo dell'identificazione con l'aggressore, difesa psicologica che sembra aver adottato Angelo per superare i traumi infantili subiti per mano di Klaus. Il nichilismo del film non salva nessun protagonista: lo spettatore può parteggiare emotivamente solo per la piccola Rena, la quale, comunque, come dimostra il finale, rimane intrappolata nelle dinamiche disturbate dei due protagonisti maschili. L'estetica di Villaronga e qualche siparietto comico non riescono, e non vogliono, mascherare l'anima nera della storia. Dalla presentazione delle fotografie dei campi di concentramento nei credits iniziali, alla lettura delle memorie scritte sul diario di Klaus, il regista Villaronga ci ricorda che l'orrore sta sempre in agguato anche se vorremmo dimenticarcene. È un terreno minato quello che percorre il regista, un po' per il tema, un po' per come viene trattato a metà fra l’essai e l'eccesso tale da espellere il film dall’ambito del cinema d’arte. Il regista spagnolo, che nel 1997 ha girato il sottovalutato horror 99.9, non compie, tuttavia, passi falsi e sa come creare un'atmosfera soffocante senza cedere all'exploitation; la fotografia è superba, così come le performance di David Sust, di Meisner e della Paredes, regular nei film di Almodovar. Il debutto di Villaronga nel mondo dei lungometraggi (prima aveva girato solo tre corti) è un'intensa esplorazione di una relazione umana degenerata non adatta agli spettatori sensibili che potrebbero trovarsi a vedere cose alle quali non avrebbero mai voluto assistere; per queste persone, Tras el cristal potrebbe trasformarsi in un incubo cinematografico. Gli altri osino, ne vale la pena.
TRIVIA
Augustì Villaronga (1953) dixit: “La qualità che mi piace di più nelle persone è la gentilezza, anche più dell'intelligenza, ma sullo schermo non ha molto impatto; invece, trovo più interessante osservare situazioni terribili” (cineuropa.org).
⟡ Pare che l’idea del film sia nata dalla lettura delle nefandezze compiute da Giles de Rais. Gilles de Montmorency-Laval (1405-1440), Barone di Rais, fu signore di varie località in Bretagna, capitano dell'esercito francese e compagno d'armi di Giovanna d'Arco. Venne condannato a morte insieme ad altri complici per una sequela di reati fra i quali so-domia, apostasia e il rapimento e l’omicidio di 140 bambini a scopo di rituale magico. In realtà, diversi storiografi dubitano circa la veridicità delle confessioni rese durante il processo a Giles de Rais; si suppone che si fosse inimicato la nobiltà del tempo per un atto aggressivo contro il Duca di Bretagna compiuto nel tentativo di ripianare le proprie finanze dissipate in una vita di eccessi. Nondimeno, in base alle fonti scritte a disposizione, è impossibile dimostrare che il processo a de Rais fu tutta una montatura e che mai vi furono gli omicidi e i riti satanici che confessò d’aver organizzato. Quindi, in mancanza di altri dati che difficilmente potranno emergere a distanza di secoli, la storiografia concorda con la tradizione popolare che vede Giles de Rais come uno dei pedosadici più spietati della storia.
⟡ Per la scena nella quale Angelo piange, l’attore David Sust si mise del dentifricio sotto gli occhi, tuttavia la scena fu ripetuta così tante volte che finì per causarsi una forte irritazione oculare e, poi, dovette indossare per diverso tempo gli occhiali.
⟡ Inizialmente, Günter Meisner aveva rifiutato il ruolo poiché inorridito dal soggetto del film. Successivamente, l’attore chiamò il regista dicendo che avrebbe accettato la parte, dato che, comunque, non riusciva a togliersela dalla testa.
Titolo originale
Id.
Regista:
Agustí Villaronga
Durata, fotografia
100', colore
Paese:
Spagna
1986
Scritto da Exxagon nell'anno 2008 + TR; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0
