Tumbbad
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Voto:
Quanto può essere grande l’avidità degli uomini e quanto dramma ne può sortire? “Il mondo offre abbastanza per i bisogni di tutti ma non per l’avidità di ognuno”, frase del Mahatma che apre la storia di Hastar, divinità primogenita di moltissimi fratelli, maledetta dagli stessi e pure da sua madre, la Dea della Prosperità, per la sua insaziabile ingordigia. Tumbbad attraversa tre capitoli generazionali vissuti dal protagonista Vinayak (Sohum Shah) che scopre l’ipogea prigione di Hastar, capisce come distrarlo dandogli da mangiare una bambola di pane e, nel mentre, rubargli le monete d’oro che escono dal suo portasoldi e finiscono in un cerchio magico protettivo. Il paria Vinayak guadagna soldi, quindi agio, stima, donne e quant'altro in un’India che attraversa le sue fasi sociopolitiche. L’avidità, però, è un difetto umano e, forse, transgenerazionale, e il figlio di Vinayak, Pandurang (Mohammad Samad), causerà il disastro. Primo film indiano ad aver aperto la Settimana della Critica al Festival di Venezia, girato nell'arco di sei anni con una prima bozza sviluppata nel 1997 sulla base di una storia scritta da Narayan Dharap. La qualità del cinema indiano si fa progressivamente internazionale pur mantenendosi radicata nei propri luoghi e nelle proprie usanze con questa favola horror che vede la demoniaca incarnazione dell’avidità risiedere nel ventre/utero della madre Terra a rappresentare il peccato originale dell’uomo. Interessante, molto ben girato, una valida effettistica digitale e qualche caduta di tono tuttavia tollerabile. Buon punto d'inizio per scprire il cinema fantastico indiano.

Titolo originale
Rahi Anil Barve
Regista:
Rahi Anil Barve
Durata, fotografia
104', colore
Paese:
India, Svezia
2018
Scritto da Exxagon nell'anno 2021; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0