13 Tzameti
Voto:
Sébastien (George Babluani), giovane operaio in difficoltà economiche, sottrae una lettera destinata ad un altro uomo senza sapere esattamente dove questa missiva lo porterà, se non che ci sono in ballo molti soldi. Giunto a destinazione, Sébastien si troverà implicato in un gioco organizzato da ricchi perversi che scommettono sulla vita altrui.
LA RECE
Poveri disperati che rischiano la vita in un macabro gioco gestito da ricchi annoiati. Il film evita l'esposizione del sangue raccontando con metafora nichilista un "club dei suicidi" che rappresenta una società dove eros è thanatos. Il thriller da camera nella parte centrale compensa una prima parte lenta e un finale meno coraggioso delle premesse.
Esordio del franco-georgiano Babluani, allora venticinquenne, in un bianco e nero in odore di Nouvelle Vague, ruvido e senza troppi cascami da cinema di denuncia, ma sociale sì, a raccontare di un mondo pervasivamente disperato in cui i soldi, da tutti bramati, a nessuno portano vera felicità. Una prima parte a rilento, con gente minimale che tenta di sopravvivere a una vita che corre in salita, prepara al teso disastro illustrato nel seguito. 13 tzameti (termine georgiano che significa "tredici") sembra il corrispettivo europeo, ma più bianco e noir, del tailandese 13 Beloved (vedi 13 Peccati, 2013), con poveri che s’illudono di svoltare appendendo al filo la propria vita, e ricchi che quei fili li tessono, vittime (forse) della noia di chi ha troppo e necessita di adrenaline sempre più venefiche. L’insensata crudeltà di un thriller da camera nella parte centrale fa rimpiangere, anche al protagonista si suppone, la piattezza di una vita frugale ma almeno governata da se stessi e non, come dopo verrà illustrato, dall'altrui malessere. “Il club dei suicidi” in cui precipita il tremebondo, e poi ferino Sébastien (fratello del regista), è uno dei luoghi più tetri del cinema moderno, tanto più che il regista evita qualsiasi esposizione al sangue e racconta con metafora nichilista l’emotività scompensata di una società nella quale, ormai, eros È thanatos. L’arditezza del tema e la secca e tesissima esecuzione della parte centrale fanno perdonare sia il sub-plot poliziesco non ben sviluppato - comunque, bel momento quello in questura - ed un finale che è eticamente conseguenziale alle premesse ma è parecchio meno coraggioso di una soluzione nella quale avremmo potuto vedere l’ex disgraziato Sébastien a godersi il frutto del sangue in una giustapposizione con i carnefici. Pur così, gran film premiato al Sundance e a Venezia. Non necessario, invece, il remake realizzato dallo stesso Babluani (13 - Se perdi... muori, 2010) con un popcorn-cast: Mickey Rourke, Jason Statham e 50 Cent.
TRIVIA
Géla Babluani (1990) dixit: “Ho provato la scuola di cinema ma non faceva per me. Credo che le regole del cinema si possano imparare molto velocemente ma bisogna avere passione. Ho anche imparato che ci sono cose che non si possono insegnare. Ho dimenticato chi l'ha detto, forse mio padre, ma qualcosa si può imparare in tre giorni o trecento anni... Al posto della scuola di cinema, ho visto molti film ma non tanto per gli aspetti tecnici quanto per la costruzione drammatica. In sostanza, penso che il cinema sia due cose: il Cosa e il Come. E spesso il Come determina il Cosa” (indiewire.com).
⟡ Nessun dato, per ora.
Titolo originale
Id.
Regista:
Géla Babluani
Durata, fotografia
95', b/n
Paese:
Francia
2005
Scritto da Exxagon nell'anno 2010 + TR; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0
