Mary Miles Minter

Attrice

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L'inizio di un sogno per l'attrice bambina

Triste storia quella di Mary Miles Minter, parabola della macchina dei sogni hollywoodiana che si declina in incubo a spese di una piccola star troppo giovane per gestire la fama, troppo fragile per sopportarne la perdita, troppo sola per reinventarsi. Tuttavia, più le narrative sono torbide, più esse rimangono, e la sorte drammatica di Mary venne eternata, benché velata da diversissime variazioni, dal film Che fine ha fatto Baby Jane? (1962), come se la penna di Henry Farrell, che compose la novella dalla quale fu tratta la storia diretta da Robert Aldrich, avesse semplicemente riportato alla luce fantasmi già tristemente reali.

Juliet Reilly - questo il vero nome di Mary Miles Minter - nacque nel 1902 per diventare, in quegli anni ruggenti del cinema nascente, l'incarnazione perfetta dell'innocenza americana. Bionda come il grano maturo, con occhi del colore del cielo primaverile, rappresentava tutto ciò che l'America desiderava essere prima che la Grande Guerra mostrasse il volto più crudo della modernità.

La carriera di Mary iniziò quando aveva appena dieci primavere: il 1912 la vide debuttare sullo schermo, guidata dalla ferrea determinazione di Charlotte Shelby, madre dal carattere dominante che organizzava ogni movimento della figlia con la precisione di un direttore d'orchestra. Fu William A. Brady a intuirne il potenziale, ma la vera svolta arrivò nel 1919 quando la Paramount decise di investire su quella ragazza, e farne la sua “golden girl”, poiché in cerca di una nuova stella che potesse competere con Mary Pickford. Da qui il successo, fra il 1919 e il 1922, di film che la consacrarono come donna innocente, fragile e abitante narrative romantiche: Anne of Green Gables (1919), Judy of Rogues' Harbor (1920), Sweet Lavender (1920). Arriverà poi il tempo del suo film più importante, Moonlight and Honeysuckle (1921), diretto dal regista Taylor che rappresenterà il nodo gordiano del dramma della Minter; in questo film, l’attrice riusciva finalmente a superare il semplice ruolo di amabile innocente per abbracciare un’espressività più drammatica. Tillie (1922) sarà il suo ultimo film di successo prima che l'omicidio di William Desmond Taylor, regista raffinato e figura di spicco della Paramount, distruggesse la sua carriera.

La morte dell'uomo che portò alla morte della carriera

Quest’ultimo, la sera del primo febbraio 1922, venne trovato morto nella sua villa di Alvarado Street, ucciso da un colpo di pistola alla schiena. Mary, allora ventenne, si trovò improvvisamente al centro dell'inchiesta. Le lettere d'amore che aveva scritto al regista quarantanovenne emersero dai cassetti della vittima, rivelando una relazione che la stampa definì "inappropriata", ma fu la scoperta di un fazzoletto ricamato con le iniziali "M.M.M." e di una camicia da notte di seta rosa nella casa di Taylor a trasformare l'attrice da testimone a sospettata. L'inchiesta si trascinò per mesi senza approdare ad alcuna conclusione definitiva. Troppi sospetti, troppi moventi: oltre a Mary, circolavano i nomi della rivale Mabel Normand - morta a 37 anni di tubercolosi ma anche la prima attrice nella storia a ricevere una torta in faccia in un film! - , dello stesso cameriere di Taylor, e persino della madre di Mary, Charlotte Shelby, donna che alcuni ritenevano capace di tutto pur di proteggere la reputazione della figlia.

La carriera di Mary non sopravvisse allo scandalo. Il pubblico americano, sempre pronto a idolatrare e poi distruggere le proprie icone, la abbandonò con la stessa velocità con cui l'aveva adorata. I contratti si dissolsero, le proposte scomparvero, e la bambina d'oro di Hollywood si ritrovò, a ventun anni, già un relitto del passato. Ciò che seguì ricorda dolorosamente la parabola delle sorelle Hudson in Baby Jane: un lento, inesorabile scivolamento nell'oblio e nell'eccentricità. Mary si ritirò in una villa di Santa Monica dove trascorse i successivi sessant'anni come una reclusa volontaria, circondata dai fantasmi della propria gloria perduta. La casa divenne un mausoleo del proprio passato: poster, fotografie, ritagli di giornale trasformarono ogni stanza in un museo dell'effimero. Come Blanche Hudson, Mary coltivò la nostalgia come un'arte malata: raramente usciva, quasi mai riceveva visite, e quando lo faceva, si presentava ancora truccata e vestita come negli anni Venti, un'apparizione spettrale che incarnava il lato più crudele del sogno hollywoodiano. La differenza sostanziale tra Mary e le protagoniste di Aldrich stava nell'assenza di una sorella-antagonista: il suo tormento era interamente autoinferto, nutrito da sensi di colpa mai chiariti e da una madre che continuò a controllarle l'esistenza fino alla propria morte negli anni Cinquanta.

L'omicidio Taylor rimase irrisolto, uno di quei cold case che alimentano le leggende metropolitane di Los Angeles. Negli anni, si susseguirono teorie, confessioni false, nuove piste investigative, ma la verità scivolò via come sabbia tra le dita. Mary non smise mai di dichiararsi innocente, ma il dubbio la accompagnò fino alla morte, sopraggiunta nel 1984, quasi in sordina, come se Hollywood avesse già dimenticato che fosse mai esistita.

Vero Nome:

Juliet Reilly

Luogo e data di Nascita:

Shreveport, Lousiana, USA, 25 aprile 1902

Luogo E Data Di Morte:

Santa Monica, California, USA, 04 agosto 1984

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