Goksung - La presenza del diavolo
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Nel villaggio rurale di Goksung, il pacioso poliziotto Jong-goo (Do-won Kwak) indaga su strani e violenti omicidi mentre viene anche scosso da orribili visioni di un uomo con gli occhi rossi che mangia carne cruda di animali morti. L’uomo delle visioni è il Giapponese (Jun Kunimura), un forestiero che vive isolato. Nella casa di quest’ultimo, Jong rinviene le foto delle vittime e anche una scarpa di sua figlia Hyo-jin (Hwan-hee Kim) che inizia ad accusare il malessere pestilenziale che sembra colpire diverse persone del villaggio. Viene chiamato lo sciamano Il-gwang (Jung-min Hwang) per risolvere la situazione; quest’ultimo determina che il Male promana dal Giapponese e che Hyo-jin è in grave pericolo. Jong-goo, però, inizia a non capire più da che parte stia il Bene e il Male e di chi possa fidarsi davvero.
LA RECE
Horror raffinato, di un Male (ri)chiamato dalla fragilità umana. Spettacolo totalizzante che consenta al contempo la risata, il pianto, la paura.
Riconferma che il cinema sudcoreano è uno dei più interessanti e meglio realizzati nella seconda decade del XXI secolo. Bisogna, però, accettare il fatto che il cinema di laggiù abbia tempi e modi diversi dal nostro e che abbia un po’ il gusto della coralità, il che significa minutaggi importanti e diversi registri sovrapposti, per fare del film una sorta di spettacolo totalizzante che consenta al contempo la risata, il pianto, la paura. Così legati come siamo noi all’impostazione classica del teatro, può risultarci ostico metabolizzare una pellicola come Goksung (+ inutile titoletto della distribuzione italiana) che esordisce con meccanismi da ironico buddy-cop movie, per poi far vorticare tutto, con lentezza, verso un terrore disperato. E poi, anche questo gusto orientale, così diverso dalla nostra narrativa, di chiudere il sipario con più interrogativi di quando si è aperto. Se si riesce a oltrepassare lo steccato culturale, ciò che ci si presenta è un lavoro di raffinata antropologia, con una ricerca reale di riti ed esorcismi di laggiù, un paese che vale come uno dei tanti nelle fiabe che raccontano del Diavolo che arriva a fare visita al volgo. Ma siccome qui non siamo ad Hollywood, il Diavolo non ha le richieste precise del De Niro di Angel Heart (1987) né il guizzo furbetto di Von Sydow in Cose preziose (1993). Il villaggio protetto maldestramente dal poliziotto Jong-goo si fa teatro impotente dello scontro di entità troppo più grandi di quanto possano gestire le fragili persone del luogo, e quasi viene da pensare che il “titans clash” abbia luogo lì solo per caso. Non è così. Il Male è stato chiamato dalla fragilità umana che, pur inconsapevole, mette in atto ognuno dei sette peccati capitali; il Diavolo, come Dracula, non può entrare dalla porta se non viene invitato. Entità che collezionano oggetti che appartengono alla “parte bassa” del corpo di noi umani; altre entità che scelgono elementi “alti”, altre ancora tirano le vangeliche pietre da non scagliare se si ha peccato. Per concludere con l’indimenticabile immagine del Diavolo che scatta foto con una Minolta Hi-Matic S mentre ride di tutti noi. Goksung, stratificato, merita più di una visione, perché le cose che dice sono tante e il suo ritmo può portare alla distrazione; i primi 40 minuti lasciano perplessi sul dove e come si voglia andare a parare, e 40 minuti non sono pochi. Tuttavia, Goksung non può essere inteso come un film che diventa bello dopo 40 minuti, cioè quando noi ci raccapezziamo e ritroviamo gli stili e i ritmi occidentali; Goksung è tutto il detour, prendere o lasciare, compresi gli strepitosi riti di esorcismo così diversi dai nostri, eppure così visivamente efficaci senza ricorso al brutale che, tuttavia, nel film non manca. Certo, Goksung perfetto non è: pur rispettando il desiderio orientale di fare di un film un esaustivo spettacolo, qualche sforbiciata in montaggio avrebbe potuto essere eseguita. Ad ogni modo, di un cinema horror così se ne sente il bisogno, anche per quel finale, sì crudele, ma ben diverso dall’attuale e insopportabile tendenza dell’occidente spompato di rifilare nichilismi da intellettuali dannati.
TRIVIA
Hong-jin Na (1974) dixit: “Si sono susseguite diverse morti di persone a me care. Assistere a un funerale era diventato per me un calvario piuttosto comune […] I defunti erano miei amici intimi e non mi sembrava affatto un'esperienza comune […]. I funerali durano di solito tre giorni in Corea, e per tutto questo tempo ho riflettuto sulla loro morte. Le questioni sollevate in quei giorni coincidevano con le cose che mi sono sempre chiesto durante la realizzazione dei miei film precedenti. La domanda era: perché, fra tutte le persone, le vittime dovevano essere loro? Avevo già le risposte per il come. Quello che dovevo scoprire era il perché. Così ho cominciato a incontrare e a parlare con il clero di varie religioni, ciò è stato il punto di partenza di questo film” (theplaylist.net).
⟡ Nessun dato, per ora.
Titolo originale
Gok-seong
Regista:
Hong-jin Na
Durata, fotografia
156', colore
Paese:
USA, Corea del Sud
2016
Scritto da Exxagon nell'anno 2020; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0
