la Maledizione della Mosca

Film programmaticamente svelto e girato con poco e che poco mostra e ottiene. Non da evitare ma evitabile.

L’americano Robert Lipper, della Lipper Pictures, acquistò i diritti per poter dare un seguito a la Vendetta del dottor K (1959) seguendo, tuttavia, la politica che dominava il suo business: fare film leggeri, in breve tempo e contenendo i costi. La regia affidata al britannico Don Sharp lascerebbe ben sperare, soprattutto quando si vede l’energica scena iniziale di una finestra che esplode al rallentatore proiettando vetri verso lo spettatore. Poi, però, tutto diventa una fiera di macchinari sfrigolanti e qualche effetto speciale purulento. Tanto per dire, nel film di mosche non ce ne sono e, ben più grave, non c’è neppure Vincent Price. Pare, più che altro, un film del genere old dark house con elementi da monster movie, il tutto immerso in un’atmosfera melò che supera di gran lunga quella orrorifica. Non resta che consolarsi con i bellissimi occhi di Carole Gray che, a inizio film, salta fuori da quella finestra in slip e reggiseno. Don Sharp non rinuncia a un tocco exploitation ma, soprattutto, non lo fa il produttore Lipert che una volta ebbe a dire: "Non mi preoccupo di ciò che dicono i critici. Io faccio film che vuole vedere la gente". Resta da capire se la gente, leggendo sul cartellone Curse of the fly, si aspettasse di non vedere volare una mosca. Occasione programmaticamente mancata.

⟡ Vincent Price non presenziò in questo terzo capitolo perché, al tempo, era sotto contratto con la AIP. 

⟡ Lippert, che possedeva una catena di cinema prima di inaugurare la sua carriera di produttore, è da alcuni ritenuto il primo ad aver introdotto la vendita di popcorn nelle sale cinematografiche.