Pyewacket

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Voto:

La teenager Leah (Nicole Muñoz) ha perso il padre e vive un rapporto combattuto con sua madre (Laurie Holden). Come il proprio gruppo di amici, anche Leah è affascinata dall’occulto e, all’ennesima litigata con la mamma, corre nel bosco a praticare un rito di magia nera per evocare un’entità, Pyewacket, che dovrebbe punire la genitrice. Quest’ultima, però, si mostra da subito dispiaciuta per gli screzi avuti con la figlia e Leah si pente del suo risentimento e della maledizione scagliata. Tuttavia, è tardi per rimediare.

LA RECE

Soddisfacente esplorazione del conflitto madre-figlia. Ambientato in boschi che evocano The Blair Witch Project, si usano efficacemente pochi mezzi per creare tensione, culminando in un finale inquietante che racconta le conseguenze drammatiche della rabbia adolescenziale incontrollata.

Piccolo film a basso budget che evolve con una certa lentezza ma che lascia soddisfatti sia per lo svolgimento, sia per il finale concitato che somministra una discreta sorpresa. Il canadese MacDonald, con un curriculum più attoriale che registico, torna a girare negli ambienti che evidentemente ama di più, quei boschi che erano stati così importanti nel suo animal-horror Backcountry (2014). Pyewacket è un film semi-urbano con un piede nel fogliame morto di una foresta che, per aspetto e tematiche, richiama the Blair witch project (1999) ma i sottesi del film sono del tutto diversi. Le lentezze sono utili al regista, che cura anche la sceneggiatura, per raccontare di un turbolento rapporto madre e figlia, di un’adolescenza funestata da un lutto importante e riempita malamente dalla suggestione del pensiero magico, da amici che colludono e, alla fine, da una rabbia giovanile tanto intensa quanto irresponsabile nel suo pretendere di esprimersi come e quando vuole senza calcolarne le conseguenze. Lo scontro fra le due protagoniste femminili, antitetiche per aspetto fisico al punto da pensare che sia difficile siano imparentate, si costruisce prendendo i propri tempi, così come l’iniziale percezione dell’entità potrebbe essere scambiata come un’allucinazione percettiva di Leah, il cui tormento è una matassa di rabbia e pentimento nella quale rimarrà drammaticamente impigliata. Con pochi ed efficaci mezzi, Pyewacket riesce, nella seconda parte, a somministrare quella manciata di brividi che si attende ci vengano inflitti, fino a un finale forse non del tutto imprevedibile ma, comunque, decisamente inquietante. Titolo passato in seconda fila e snobbato in Italia, forse anche a causa di questa parola così poco agevole per noi neolatini (si pronuncia Piuàchet), ma che si fa ricordare e che ha ricevuto una positiva attenzione dalla critica specializzata; non resta che il giudizio dell’utente finale. Voto d’incoraggiamento.

TRIVIA

Adam Macdonald (1977) dixit: “Faccio fatica a immaginare un horror sulle streghe senza lo sfondo di una foresta. Penso che sia perché le fiabe che si tramandano da generazioni si sono sempre svolte dentro e intorno al bosco, riflettendo il tempo in cui queste storie erano scritte e raccontate. C'è qualcosa di così drammatico nel bosco, che può essere bello e affascinante ma anche terribilmente spaventoso. L'ignoto è dietro ogni angolo e si è letteralmente circondati dalla vita e dalla morte” (vampi-resquid.co.uk).

⟡ Pyewacket è, in effetti, il nome di uno spirito familiare riferito da una “strega” al Witchfinder General, il Grande Inquisitore, Matthew Hopkins nel marzo 1644. La donna che ne confessò l’esistenza, ovviamente sotto tortura, descrisse Pyewacket come un Imp, ovvero una creatura demoniaca o un famiglio della tradizione britannica. L’episodio è narrato nel pamphlet “The Discovery of Witches” scritto dallo stesso Hopkins nel 1647.

Titolo originale

Id.

Regista:

Adam MacDonald

Durata, fotografia

90', colore

Paese:

Canada

Anno

2017

Scritto da Exxagon nell'anno 2019 + TR; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

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