il Quinto sigillo
-
Voto:
Ungheria, 1944, poco dopo il colpo di Stato salashista filo-nazista. Il provocatorio orologiaio Miklos Dyuritsa (Lajos Oze), l’autoindulgente libraio Laszlo Kirai (Laszlo Markush) e il serio falegname Janos Kovacs (Sandor Horvath) si riuniscono come al solito nell’osteria di Bela (Ferenc Benz). Inaspettatamente, si presenta il fotografo Karoy Kesey (Istvan Degi) tornato dal fronte fisicamente offeso. Le loro conversazioni leggere verranno scosse da un quesito che cambierà il modo in cui guardano alla vita.
LA RECE
Le scelte non sono mai semplici, meno che mai in situazioni al limite. Zoltan ci pone una questione morale ed etica semplice solo se si voglia rispondere d’impulso. Film dimenticato, qui in memoria di tutti i dimenticati ma meritevoli.
Se doveste morire oggi e rinascere domani, preferireste essere una persona oppressa e povera ma integerrima, oppure un agiato tiranno oppressivo senza consapevolezza della propria non-eticità? Tratto dall’omonimo romanzo di Ferenc Sánta, un capolavoro destinato all’oblio. Il Quinto sigillo di Fabri, dimenticato in Italia, è, però, ricordato nella sua terra natia come una delle opere più alte della cinematografia magiara; dopo i premi presi ai tempi (nomination all’Orso d’Oro di Berlino e primo premio al Moscow International Film Festival del ’77), su IMDB si becca un elevatissimo voto 8.5 (dato 2025). Meritato? Fabri lavora come se dovesse istruire un’opera teatrale, con ritmi cinematografici non moderni, separando la storia in tre atti e pilotando la narrazione tramite fitti dialoghi. Film non per tutti, quindi. Lento, certo, eppure non stantio, capace di porre i protagonisti e lo spettatore di fronte a una questione morale ed etica semplice solo se si voglia rispondere d’impulso, tantopiù che i protagonisti, con idee ben chiare finché al sicuro nella loro confort zone, saranno obbligati a a ripensarci quando, catturati dai nazisti, avranno la loro libertà garantita solo se accetteranno di malmenare un partigiano appeso come un Cristo. Film colpevolmente trascurato dalla critica bipartisan, chissà perché. Forse per la pessima distribuzione o, forse, per il fatto che, pur partendo da un evento storico ben preciso, si propone una metafora generale applicabile a diverse circostanze, non solo a quelle di destra. Le scelte dei protagonisti, prima impegnati a fumare e libare i lieti calici, si fanno complesse: chi pare conservare un’etica è inefficace, chi si sporca l’anima ottiene con un pesante compromesso la salvezza di alcuni ebrei. Le scelte non sono mai semplici, meno che mai in situazioni al limite, e la realtà si impone punitivamente sui chiacchieroni. Il tutto inframezzato dalle inquietanti immagini dipinte da Hieronymus Bosch, i cui rimandi da Libro dell’Apocalisse richiamano, appunto, il passo bibblico del titolo: “Quando l'Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l'altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano reso. E gridarono a gran voce: «Fino a quando, Sovrano, tu che sei santo e veritiero, non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue contro gli abitanti della terra?». Allora venne data a ciascuno di loro una veste candida e fu detto loro di pazientare ancora un poco, finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli, che dovevano essere uccisi come loro” (Rivelazioni 6:9-11). Insomma, le cose non vanno bene ma voi pazientate ancora un po’ che deve andare male a qualcun’altro, prima di raggiungere la quota. Prove attoriali da manuale. Strepitoso l’occhialuto filonazista interpretato da Zoltán Latinovitse che, in quello stesso anno, 1976, deciderà di suicidarsi gettandosi sotto un treno. L’umanità narrata da Fabri è un po’ felliniana e un po’ pasoliniana; forse Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) potrebbe essere un coerente double-bill con quest’opera di Fabri che, però, rispetto a Pasolini, si fa meno violenta e fa baluginare elementi surrealisti tra i quali la scelta di Bosch, ritenuto un proto-surrealista. Il Quinto sigillo, dal quale, non dichiaratamente, il più noto Ascensione (1977) di Larisa Shepitko prese molto, viene recensito qui non solo per le sue indubbie qualità ma a nome di tutti quei film che il tempo si sta mangiando e che, pur meritando fama, patiscono l’oblio.
TRIVIA
⟡ Nessun dato, per ora.
Titolo originale
Az ötödik pecsét
Regista:
Zoltán Fábri
Durata, fotografia
111', colore
Paese:
Ungheria
1976
Scritto da Exxagon nell'anno 2015 + TR; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0
