School of the Holy Beast
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Voto:
Maya Takigawa (Yumi Takigawa) entra come suora all'abbazia St. Clore. Non è un caso: sua madre morì in quel luogo diciotto anni prima, la volta che Maya venne al mondo. Nell'abbazia, la voglia di sesso delle suore è pari solo al loro sadismo. Maya scoprirà cosa accadde alla madre e anche chi è suo padre.
LA RECE
L'apoteosi del vituperato nunsploitation la troviamo, forse, nella Terra del Sol Levante. Un film che trascende le sue origini exploitation per diventare un'opera di sorprendente poesia visiva e commento politico sovversivo. Non fermatevi all'apparenza, seppur attraente o repellente.
Il regista nipponico Norifumi Suzuki non era di quelli di primo pelo quando si trattava di exploitation. C'era lui dietro molti classici del genere fra i quali spicca Sex and Japan (1973), pellicola nella quale compare Christina Lindberg che diverrà famosa con Thriller: a cruel picture (1973). Il film emerse durante un periodo in cui i registi giapponesi rielaboravano l'iconografia religiosa occidentale attraverso la lente dell'identità nazionale post-occupazione; il convento diventa non solo un luogo di repressione sessuale ma una metafora del rapporto ambivalente del Giappone con l'influenza occidentale. Oltre a ciò, va considerato che questo lavoro di Suzuki coincise con il declino del sistema degli studios e l'emergere di quello che i critici della rivista Kinema Junpo definirono "cinema della nuova libertà", nel quale elementi exploitation fornivano redditività a visioni artistiche altrimenti non commerciali. In School of the holy beast, quindi, Suzuki sintetizza la lezione europea e, grazie a un'accortezza estetica non comune nei prodotti exploitation, innalza il genere a livelli raramente fruibili. Sia chiaro, questo film non è una pellicola d'essai che trasforma in arte le gioiose nefandezze del nunsploitation, infatti in esso si offre tutto l'armamentario e le sequenze che ci si aspetta dal genere, però il regista giapponese, soprattutto nella primissima parte, gioca con i colori, dando al film un glamour pop che rimanda agli anni '60. L'utilizzo dei primi piani richiama, invece, i lavori di Jess Franco e, d'altronde, l'euro-sleaze è il principale riferimento di Suzuki nella costruzione del racconto e delle scene che lo compongono. Donne nude, rapporti saffici, sadismo, blasfemia, in School of the Holy Beast c'è tutto e qualcosa in più: una storia intrigante, l'elegante bellezza delle protagoniste e una non comune attenzione per la fotografia. Memorabile l'interrogatorio al quale è sottoposta la protagonista Maya che, dalle solite suoracce sadiche, viene percossa con mazzi di rose, il tutto filmato al rallentatore con petali che svolazzano nell'aere e la protagonista che scuote la sua massa di capelli; sarà erotismo a buon mercato ma, dato il livello medio dei nunsploitation europei, qui c'è da leccarsi i baffi. Altrettanto memorabile, più che altro per il suo potenziale trash, il protagonista maschile interpretato da Fumio Watanabe, quel prete Kakinuma che pare tanto un Rasputin porcone. Per non parlare della blasfemissima sequenza in cui una suora, torturata e immobilizzata, viene obbligata a urinare su un'immagine sacra. Colpo basso, invece, l'inserimento di alcune immagini reali che fanno riferimento ai feriti e ai morti causati dall'esplosione nucleare di Hiroshima; un eccesso di brutalità visiva tanto gratuito e superfluo quanto evitabile. Con un livello recitativo più che adeguato e una serie di sequenze pruriginose e sadiche come si conviene al genere, School of the holy beast s'innalza una spanna sopra la stragrande maggioranza dei nunsploitation e si configura come un must per coloro che volessero avere un'idea di questo sottogenere cinematografico partendo dall'alto. Interessante anche il fatto che studiose femministe contemporanee di cinema come Catherine Russell hanno iniziato a rivalutare queste opere attraverso una lente post-coloniale, sostenendo in "The Cinema of Destruction" (2018) che: "questi film, nonostante i loro problematici elementi exploitation, spesso posizionavano i personaggi femminili come agenti di resistenza contro sistemi patriarcali e coloniali di controllo". Più di così...
TRIVIA
Norifumi Suzuki (1933-2014) dixit: "Ho sempre visto i miei film come freak show ed ero a mio agio con questa cosa. I miei film non erano affatto simili all'hardcore di Ishii; dopotutto non facevo altro che commedie erotiche, nulla più." (YouTube ch: MeikoKajiSasori vid: lnterview with Norifumi Suzuki) .
⟡ L'attrice Yumi Takigawa (1951), qui al suo primo film, ebbe poi una lunga carriera proseguita almeno fino al 2018 con ruoli seri e drammatici, del tutto diversi da quelli con i quali iniziò.
Titolo originale
Seiju Gakuen
Regista:
Norifumi Suzuki
Durata, fotografia
91', colore
Paese:
Giappone
1974
Scritto da Exxagon nell'anno 2015 + TR; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0
