Smile - La morte ha un obiettivo
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Voto:
Un gruppo di giovani turisti riceve in dono da un sinistro uomo (Armand Assante) una vecchia Polaroid. La macchina foto grafica è maledetta: chiunque venga fotografato è destinato a morire. I protagonisti, nei rigogliosi boschi marocchini (?), si fanno, come ovvio, un sacco di foto.
LA RECE
Pseudo-slasher che trasforma una Polaroid vintage in strumento di morte. Ambientato in un improbabile Marocco verdeggiante, il film risulta troppo prevedibile e controllato. Riminiscenze J-horror (è un cursed object movie) e ottantine. Non convinse e non convince.
Film italico in coda ai J-horror i cui protagonisti non sono persone ma oggetti di uso quotidiano che fanno da tramite fra questo mondo e quell'altro, in un modo che, manco a dirlo, porta una sfiga terribile. Qui, l'obiettivo della morte si realizza tramite una vecchia Polaroid del '66 che, se t'inquadra e scatta, sei stramorto. L'idea non è originale, quindi si spera nello svolgimento. Gasperoni piazza davanti alla cinepresa un gruppo di attori un po' avanti negli anni rispetto a ciò che il genere "imporrebbe". Tutto si svolge in quel del Marocco che, suppongo per l'attuale crisi climatica, presenta deserti ma anche verdissimi boschi di pioppi e sempreverdi che fanno somigliare lo stato africano all'Oltrepò pavese; ma magari, chissà, in Marocco è davvero così. L'atmosfera del film, nonostante il tema attuale, è quella del cinema italiano anni '80 tipo Sotto il vestito niente (1985): una bella protagonista non esattamente adatta al ruolo, molti dialoghi preconfezionati ed effetti speciali caserecci; però, là, con il mestiere di Vanzina in più. Al fianco della protagonista Harriet MacMasters-Green, qui al suo primo film che le porterà una sufficiente fortuna professionale, altra bella gente ma pochi davvero bravi a recitare; Antonio Cupo è così scalmanato che, alla fine, sembra il migliore. In più, asso nella manica, c'è Armand Assante che, con la capigliatura alla Amedeo Minghi, si aggira per il set regalando sguardi profondi e un minimo di inquietudini; almeno lui il mestiere lo conosce. Gasperoni non eccelle in scrittura ma, con i pochi soldi a disposizione, cura a sufficienza la fotografia e la confezione in modo che Smile, almeno a livello di cassetta, sia presentabile. Troppo controllato e troppo prevedibile per essere davvero interessante, questo pseudo-slasher presenta tutti gli omicidi fuoricampo, cosa che in un horror non di concetto non è buona cosa. Per la sua volontà di fare breccia nel mercato estero, e perciò venendo incontro a stereotipi culturali ritriti, Smile riesce a rendersi anche ridicolo: il cacciatore marocchino è vestito in modo folkloristico come Morgan Freeman in Robin Hood il principe dei ladri (1991). Nel deserto d'idee, la fotomodella fotografa (anche qui, stereotipo ritrito) che quasi si ammazza in un incidente e scende a fare inutili foto a un pullman, si aggira con rossetto, eye-liner e nevo barocco. E in codesto low-budegt da compagnia delle indie, il nudo dov'è? Un po' di exploitation avrebbe aiutato. Dimenticabile e dimenticato, ma anche la carriera del regista non è andata troppo avanti.
TRIVIA
Francesco Gasperoni (1968) dixit: "Il cinema è il mio primo amore. Ad otto anni ottenni da mio padre la mia prima cinepresa Super8 e la moviola e, fino alla maggiore età, il sogno tenne duro, poi famiglia e responsabilità impietosamente condussero la mia carriera artistica e lavorativa verso mete diverse. [...] Poi, una sera di qualche anno fa, mentre passeggiavo per il centro di Roma, sentii un turista che, prima di scattare l'ennesima foto ricordo delle sue vacanze romane, disse "smile" con uno stranissimo tono di voce e qualcosa, a quel punto, anche nella mia mente scattò." (film.cinecitta.com).
⟡ Nessun dato, per ora.
Regista:
Francesco Gasperoni
Durata, fotografia
90', colore
Paese:
Italia, UK
2009
Scritto da Exxagon nell'anno 2010 + TR; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0
