Sotto il vestito niente
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Voto:
Bob (Tom Schanley) e Jessica Crane (Nicola Perring) sono gemelli. Lui fa il ranger in Wyoming e lei la fotomodella a Milano. Lui, in contatto telepatico con la sorella, ha una visione sinistra che lo fa mal sperare circa la sorte di Jessica; così, Bob arriva a Milano in fretta e furia e si mette sulle tracce della sorella scomparsa. Intanto, un killer guantato fa strage di modelle; a braccarlo ci pensa il commissario Danesi (Donald Pleasence), però, un passo indietro rispetto alle personali indagini di Bob che, con l'aiuto della modella Barbara (Renée Simonsen), si avvicina alla verità.
LA RECE
Tardivo giallo all'italiana ma anche la quintessenza del giallo ottantino nella Milano da Bere. Per anni un po' snobbato ma i suo titolo divenne subito modo di dire. Anni dopo, i fan del cinema di genere lo riscoprono con grande affetto, ben disponibili a passare sopra i diversi evidenti difetti. E più passa il tempo, più piace.
Sulla carta un thriller ambizioso, poggiato sull'omonimo romanzo del 1983 scritto da Paolo Pietroni. Per un occhio allenato, un tardo giallo all'italiana. Gli ingredienti del genere ci sono tutti: la polizia brancola nel buio, un privato cittadino s'improvvisa detective, il guanto nero e l'arma bianca, il sesso e il movente psicopatologico. Però siamo negli anni '80 e la Milano da bere confonde gli animi. Non ci si alcolizza più col J&B ma si tira di coca. L'ambiente modaiolo fa pensare a qualcosa di moderno (ma non dimentichiamoci Sei donne per l'assassino, 1964) e lo stile rampante cozza contro le crudezze a zampa d'elefante anni '70. Tuttavia, Sotto il vestito niente è un giallo all'italiana, punto, e come giallo non è neppure malaccio, benché la debolezza stia proprio nell'aver cercato di far passare la cosa come un non-giallo tentando la strada del thrillerone patinato alla De Palma, cosa che a Vanzina riesce alla Vanzina. Il soggetto pesca nel torbido della cronaca nera e vorrebbe tessere paura e vita malandrina nel triangolo della moda e degli scopatori di modelle, ma finisce per ottenere l'effetto opposto: esaltare quel mondo e quella vita. Sta di fatto che tutti gli stilisti chiamati all'appello per fare di Sotto il vestito niente un happening di haute couture si danno alla macchia; l'unico che rimane è Moschino, pace all'anima sua, che mette il nome in grosso su una sfilata mica tanto raffinata organizzata davanti alla stazione centrale di Milano. Più che concentrarsi sulle mosse dell'assassino e sulla sua ferocia, entrambe rese un po' fiaccamente, Vanzina sfrutta l'ecosistema fashion e mostra tette e culi a novanta; per un secondo ci scappa anche un cespuglietto, quello sì, irsuto come nei mitici Seventy. La pochezza del protagonista maschile viene compensata dal comparto femminile con una Renée Simonsen agli esordi e la presenza del buon vecchio Donald Pleasence che sorseggia un bibitone da Wendy, fast-food milanese estinto da eoni. La scena conclusiva al rallenty, però, con l'omicida che si getta nel vuoto spingendo una sedia a rotelle (roba presa da Sette scialli di seta gialla, 1972), ha un suo impatto, e il finale tronco, dopo questa scena plateale, lascia un piacevole amaro in bocca. Anche il grande pubblico apprezzò. Che poi il legame telepatico fra gemelli si fosse già visto in Extrasensorial (1982) di De Martino o in Fury (1978) di De Palma, fa niente. Si può passare anche sopra al fatto che spiare una donna che si masturba alla finestra o l'omicida che usa un trapano per uccidere siano presi pari-pari da Vestito per uccidere (1984) sempre di De Palma, e che, in quest'ultimo film, lo score musicale fosse curato da Pino Donaggio che dirige gradevolmente anche qua. Alla fine non so, questo film di Vanzina pieno di facilonerie e vuotezze ha, però, un suo fascino schizofrenico dato dall'essere stato prodotto a cavallo tra due ere cinematografiche e sociali. Accantonato per anni, Sotto il vestito niente gode ora di un certo culto, innalzato agli onori di post-giallo da modernariato non tanto per le sue qualità intrinseche ma per tutta una serie di nostalgie dello spettatore. Va bene così. Io lo sto riguardando proprio ora mentre metto mano, per l'ennesima volta, a questa rece e, ammetto, mi piace sempre di più, tipo vino che invecchia. Voto un po' gonfiato. Intanto, il titolo è già divenuto da un pezzo una locuzione popolare ed è cosa riuscita a pochi film. Con due seguiti: Sotto il vestito niente II (1988) e un tardivo Sotto il Vestito Niente: l'ultima sfilata (2011).
TRIVIA
Carlo Vanzina (1951-2018), sul suo rapporto contrastato con la critica, dixit: " ... sempre, sempre, perché quando sei popolare, quando hai consenso... ma è anche giusto che sia così, poi non puoi piacere a tutti. [su Totò] ... santificato ma dopo, poveraccio. Un episodio malinconico: quando gli diedero un premio alla carriera a Napoli, l'unico che stava in sala a questa premiazione coronamento alla carriera era mio padre [Steno]. Dopo andò a salutarlo in camerino e Totò era lì che piangeva: "Non è venuto nessuno... ". E poi, quello che è successo a Totò dopo non l'ha potuto vedere, però... queste riabilitazioni postume sono un po' tristi" (YouTube eh: La7 Attualità vid: L'intervista a Carlo Vanzina).
⟡ Questo il fattaccio di cronaca dal quale si prese spunto. La 26enne statunitense Terry Broome, sorella della fotomodella Donna Broome, sognava una vita di successo e cash come la consanguinea. Per questo, Terry iniziò a frequentare i locali top di Milano e farsi mantenere dal gioielliere Giorgio Rotti al residence Principessa Clotilde di Porta Nuova, luogo, al tempo, rinominato brillantemente Principessa Clitoride per la presenza di diverse modelle. Il 25 giugno 1984, la giovane si recò in taxi alla discoteca Nepentha - quella frequentata da Vastano quando i 18 li rifiutava - insieme a Rotti e alla sorella. Lì, incontrò Francesco D'Alessio, ricco playboy quarantenne che, da qualche tempo, la importunava e la diffamava dicendo che si fosse concessa in un'orgia con sei uomini; fatto, pare, non vero e inventato da D'Alessio per vendicarsi di un "no" rifilatogli tempo prima dalla Broome. Tornati in taxi al residence, il gioielliere sbottò per quelle illazioni che lo avevano convinto del fatto che avesse a che fare con una poco di buono, e chiese indietro i regali fatti alla donna, per poi andarsene a dormire. Terry, consolatasi in solitudine con coca e alcol, recuperò la calibro 38 del gioielliere. Alle 6:30 di mattino, si presentò all'appartamento di D'Alessio, sito in corso Magenta al civico 38. L'uomo, lì con la modella ventunenne Laure Marie Roiko, alla vista di Terry si galvanizzò e propose ciò che Renato Zero non aveva considerato. La Broom, che intanto si era messa a tirare di coca con Francesco tanto per non sbagliare, tuttavia non aveva in mente un threesome, e quell'ennesima insistenza la convinse a sfoderare la pistola e minacciare il manzo. Terry racconterà di una colluttazione ma due proiettili raggiunsero D'Alessio in maniera abbastanza precisa: uno al petto e uno alla tempia. Il padre dell'uomo, l'avvocato Carlo D'Alessio, non ha mai creduto alla storia della colluttazione e, anzi, ha suggerito che la Broom sia stata usata come esecutrice di qualche mandante che aveva conti in sospeso con Francesco. Una spy-story, insomma. Ad ogni modo, deceduto il playboy, l'assassina tornò al residence in taxi e il gioielliere le consigliò di scappare a Zurigo, luogo in cui Terry venne arrestata. Secondo la venerabile tradizione italiana di risibilità della certezza della pena, la Broome fu condannata a 15 anni di carcere nel 1986, ridotti in appello a 12 e mezzo che diventarono zero nel 1992. Terry Broom, uscita dal carcere, tornò di corsa in Carolina. Forse in taxi.
⟡ Fondamentale sapere che la donna protagonista della scena di masturbazione è Zaira Zoccheddu, che rappresentò l'Italia a Miss Mondo del 1974. Cosa più importante, è che Zaira fu la prima attrice sarda ad aver partecipato a un film hard: Gocce d’amore (1981). Zaira apparirà anche nel cult-trash la Croce dalle sette pietre (1987). Sarà il suo ultimo film. Non sorprende.
⟡ In un primo momento, la regia del film fu proposta a Michelangelo Antoniani.
⟡ La videocassetta distribuita dalla Caleco in UK e in USA aveva come locandina l'immagine finale del film, il che significa rivelare in un colpo solo la sorte di Jessica e l'identità dell'omicida.
⟡ Il citazionismo di Vanzina incorpora anche Casablanca (1942) di Curtiz mostrato in tv; Quando la moglie è in vacanza (1955) di Wilder per la proverbiale scena della gonna svolazzante; Psyco di Hitchcock, dato che i due protagonisti di cognome fanno Crane come la Marion del film del 1960.
⟡ Le soluzioni un po' tonte non mancano. Scena in palestra. Onde evitare pubblicità occulta o chissà cos'altro, l'insegna con il nome della vera palestra viene occultato da un'altra insegna che reca l'inequivocabile dicitura "La Palestra".
⟡ Nel film, compare la più enorme bruciatura che possa accadere di rilevare in una pellicola. Per intenderci, con "bruciatura (di sigaretta)" nell'ambiente cinematografico si intendono quelle macchie che si vedevano ogni tanto nell'angolo in alto a destra durante la proiezione; queste servivano al proiezionista per regolarsi sui tempi di cambio rullo. In Sotto il vestito niente compaiono due bruciature, come di norma una subito successiva all'altra, ma di proporzioni enormi, tali da occupare tutta la metà destra del fotogramma.
Regista:
Carlo Vanzina
Durata, fotografia
87', colore
Paese:
Italia
1985
Scritto da Exxagon nell'anno 2006 + TR; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0
