Speak of the devil
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Voto:
Film documentaristico
LA RECE
Bougas, in maniera dilettantesca, dedica un doc ad uno dei nomi più noti del satanismo moderno. Ne emerge un quadro nemmeno troppo torbido, in alcuni frangenti anche sensibile e maldestro. Molto più noioso di quanto dovrebbe essere un doc sul satanismo.
Documentario exploitation la cui visione fu, per molto tempo, e prima dell'avvento del file sharing, ambita dai cercatori di curiosità filmiche e dai satanisti in erba; ora che il mistero è sfumato, del "figlio del Demonio" Anton LaVey possiamo tutti quanti goderci le gesta. Tuttavia, Speak of the Devil resta una bizzarria su pellicola vista da pochi, se non altro per intero, perché a sorbirsi tutto il noiosetto spettacolo offerto da Bougas occorre una diabolica determinazione. Qui, perciò, mi permetto di rivelare un po' di particolari di questa pellicola in lingua che, con tutta probabilità, abbiamo visto per intero solo io e Anton Szandor LaVey (1930-1997) che, per chi non lo sapesse, è stato il più noto satanista moderno, fondatore della Chiesa di Satana. Speak of the Devil, con un aspetto da pellicola anni Settanta, celebra il LaVey personaggio sinistro ma anche la sua verve artistica, infatti Anton se la canta e se la suona, letteralmente. Il documentario è diviso in capitoli. Nel primo blocco ("Che cos'è il Satanismo?"") facciamo la conoscenza di intervistati ai quali viene posta la domanda che dà il titolo alla sezione. Le risposte sono le più disparate e disperate; quindi, segue il racconto cristiano della caduta di Lucifero per cercare di dare una spiegazione competente. La seconda sezione, "la Paranoia è un grande business", presenta immagini di trasmissioni tivù che accusano il satanismo di violenze su animali e persone, omicidi e stupri. LaVey si dissocia dalla violenza: lui ama gli animali. Questo dà il destro per presentare il suo leoncino; la voce fuori campo dovrebbe essere quella del felino che vuole bene a LaVey. In seguito alla protesta dei vicini di casa, LaVey dovrà dare via il leone. Peccato. Comunque, con 'sto leoncino, ottime gag trash nel supermercato. Nella parte sul "Discorso sul satanismo", LaVey si lancia in un'accorata filippica su come gli sia nata la passione per le cose luciferine e fa un ardito parallelismo fra i giochini pubblicizzati sul retro dei giornali, tipo occhiali a raggi X, e il suo culto: quei giochi sono simpatici nelle mani giuste ma possono essere pericolosi in quelle sbagliate. Quindi, bisogna fare del bene a chi si merita del bene e del male a chi si merita il male. Hammurabi. Poi, LaVey s'intenerisce e consiglia di avere rispetto per il proprio spirito immortale, dato che si sopravvive nella memoria di coloro dei quali ti sei guadagnato il rispetto. Assennato. La quarta sezione, "Tour nella Casa Nera", mostra alcuni manichini iperrealistici che LaVey ha costruito con svariati materiali: gli tengono più compagnia degli esseri umani. In futuro, continua, gli androidi saranno meglio forniti rispetto a noi sia anatomicamente, sia mentalmente, sia emotivamente. Non lo escludo. "La Camera Rituale" mostra sequenze di LaVey che officia messe nere, e di lui che favella della superiorità dell'uomo legata alla potenzialità della creatività. Vabbè. Nel blocco "La Stanza della Musica", Anton ci parla del suo stile musicale e di chi lo ha influenzato, e parte con un assolo di parecchi minuti. Armatevi di pazienza. "La Libreria" è il blocco più forte. LaVey Esordisce elencando alcuni romanzi noir che lo hanno colpito e ci fa sapere che il black humor è una qualità che ogni satanista dovrebbe avere. Sostiene di essere stato fotografo per la polizia e di aver visto brutte cose (non vi sono prove, in realtà, che lui abbia svolto questo lavoro). Nel filmato scorrono immagini forti in stile le Facce della morte (1978), decisamente inappropriate per il tenore generale della pellicola. LaVey, quindi, passa a discorsi sul mare e ne parla con in testa un cappello da nostromo: tesse le lodi di D'Annunzio e dice che questi è il suo modello perché aveva una vita privata e una pubblica tali da renderlo migliore del cittadino comune. Ok. Segue invettiva contro la televisione, ovvero una nuova religione che ha più presa sul pubblico di quanto ne abbia il cristianesimo. Non poteva immaginare, il satanasso, i danni dei futuri social. Concludono questo blocco altri satanisti convinti che, ovviamente, dicono un gran bene di LaVey. Nella settima sezione, "l'Inno dell'Impero Satanico", viene recitata una poesia accompagnata da immagini di vecchi film con protagonista il diavolo. Il film termina con il blocco "Parola Finale" nel quale LaVey saluta tutti con zoom e fermo immagine sui suoi occhi mefistofelici. Che dire? Shockumentary malfatto, con colori sparati, mani nell'inquadratura e peccaminoso dilettantismo. Ne viene fuori il ritratto di un uomo neanche così tanto eccentrico, forse un po' solo, tale da offrire una certa quota di delusione anche al satanista più convinto, ma pure un po' di simpatia per questo povero diavolo. Interessante, ovviamente per la tematica e per il livello bizzarro. Prima era raro, adesso ha perso pure quella qualità.
TRIVIA
⟡ Nel 2015 è emerso che il regista Bougas, dietro lo pseudonimo di A. Wyatt Mann (in assonanza con "White Man", uomo bianco), negli anni '80 ha prodotto una serie di disegni apertamente razzistici fra i quali una nota rappresentazione antisemita di un mercante sionista che si sfrega le mani; l'Happy Merchant è stato poi molto usato come meme fra i suprematisti bianchi. Bougas non ha mai voluto commentare il fatto.
Titolo originale
Id.
Regista:
Nick Bougas
Durata, fotografia
90', colore
Paese:
USA
1995
Scritto da Exxagon nell'anno 2006 + TR; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0
