Whores' glory
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Voto:
Film documentaristico
LA RECE
Glawogger, con il suo occhio da etnografo urbano, racconta di un mondo prostitutivo né bello, né ricco, né salubre. Non si tratta di uno studio completo sulla prostituzione, ma di un'indagine su specifici contesti in cui essa si manifesta. Ben realizzato e foriero di spunti di riflessione. Non per minori.
Altro lavoro di etnografia urbana del regista austriaco Glawogger, morto prematuramente nel 2014 in Liberia per la malaria. In Workingman's death (2005) aveva portato le telecamere in posti del mondo nei quali si svolgevano lavori micidiali in condizioni di vita micidiali. Con Whores’ glory, terzo film della Globailization Trilogy, insieme al suddetto e a Megacities (1998), si va a visitare l’andazzo del cosiddetto lavoro più vecchio del mondo, ancora in condizioni sufficientemente micidiali. Il documentario di Glawogger è un corretto e completo studio della prostituzione come fenomeno sociale? No. Il regista sceglie di indagare determinati ambienti, né ricchi né salubri, nei quali la prostituzione è ben lontana dall'essere una scelta libera, né il documentario arriva mai a porre delle concrete riflessioni circa il fatto che la prostituzione possa essere mai una scelta libera o meno, in qualche modo condizionata da una società fallocentrica. Argomento complessissimo e mai passibile di ricevere una lettura disincantata e non condizionata dal soggettivo modo di intendere la morale, l’etica, la donna e l’uomo. Non mi addentro nella disamina, anche perché, nel 2015, lo feci con un saggio, Amore in contanti che consiglio soprattutto se si voglia fare qualche riflessione sulla prostituzione maschile pagata dalle donne. Marchetta conclusa. Whores’ glory tratta di altro: al di sotto della compravendita del corpo in Thailandia, in Bangladesh e in Messico ci viene dipinta tutta la miseria umana non solo di queste donne (attempate, giovani e alcune ancora ragazzine) ma anche dei loro clienti: pescivendoli, parrucchieri e sbaraccati con quattro soldi in tasca che spezzano la loro quotidianità fatta di briciole con una o due scopate a buon mercato. Qualche turista occidentale, come al solito, razzola nei dintorni dell’hard discount. In Bangladesh, un’ora e due coiti costano 6 euro e mezzo, in Messico 20 minuti vengono 10 euro, mentre in Thailandia siamo a 50 euro. Paese che vai, prezzi che trovi, e tutti hanno le loro sacrosante ragioni: alcune ragazze pregano perché si possano avere tanti clienti così da potersi comprare cose belle e, magari, mandare qualche soldo alla famiglia; altre ci si devono comprare il crack; per alcune la prostituzione è interlacciata alla possibilità di avere una famiglia (che, però, ti fa prostituire per campare) in alternativa all'indigenza più assoluta; per altre ancora va a sapere ma emerge chiaramente una dinamica schiavista. I clienti, d'altronde, non sono tutti maschi irrispettosi: alcuni sono uomini soli, altri si sono infilati in matrimoni infelici e compensano, altri ancora s’innamorano follemente della prostituta di turno e l’amore fa miracoli: un obeso, per poter piacere alla sua prostituta del cuore, si è messo a dieta ed è diventato un figurino. Poi, certo, c’è sempre il patito di sesso anale frustrato da una moglie poco permissiva e salvato dalla liberalità delle donnine (non sempre) allegre. I costumi locali dettano gli stili: in Bangladesh niente sesso anale, orale o altri ghiribizzi ma solo coiti meccanici con peni preferibilmente non voluminosi; in Messico sono decisamente più scatenate, con cubetti di ghiaccio infilati nel sedere (del cliente) e candeggina per lavare i culi sporchi (dei clienti) per poi leccarli; le thailandesi hanno il bel loro daffare con i malesiani violenti e gli indiani che puzzano, così dicono. Il valore del documentario, incorniciato da una bella fotografia, è antropologico più che illuminante sul piano logico: si entra in sistemi sociali lontani e alieni al nostro con la tentazione di pontificare facili e immediate soluzioni dall'epicentro dei nostri morbidi divani. Come per Workingman's death, a documentario concluso, resta l’impressione che, nella vita, conti davvero molto la botta di fortuna che ti fa nascere nel lato del mondo più fortunato del mondo. Chi si sturba a vedere scene di sesso, sappia che il documentario, alla fine, mostra celermente in cosa consiste il servizio di una prostituta messicana, peraltro non molto simpatica (ma c'è da capirla); scena assolutamente non superflua, dato che si palesa senza giri di parole la desolazione del tutto. Mai scena hard fu più necessaria per condensare tutta la diegèsi di un film. Sequenza iconica intercettata nello svolgimento: tre cani intenti a fare sesso, due rimangono agganciati attraverso i genitali e il terzo, approfittando della impasse, monta uno dei due. Homo homini coitus.
TRIVIA
⟡ Nessun dato, per ora.
Fast rating
Titolo originale
Id.
Regista:
Michael Glawogger
Durata, fotografia
110', colore
Paese:
Germania, Austria, Thailandia
2011
Scritto da Exxagon nell'anno 2014 + TR; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0
