Africa addio

Voto:

Film documentaristico.

LA RECE

Che piaccia o meno, Africa addio è la perla del genere. Pellicola NON per tutti.

Con buona probabilità, il miglior mondo-movie mai realizzato. Una pellicola che incarna, nel bene e nel male, tutte le caratteristiche di un sottogenere. A realizzarlo sono i due nomi principe della documentaristica exploitation: Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi, gli stessi che, nel 1962, avevano dato il nome al genere con Mondo cane e che nel 1971 realizzeranno il controverso ma notevole Addio zio Tom. Africa addio mira a illustrare l'Africa post-colonialista in balia di un lecito ma incontrollato desiderio di libertà che ha portato, come noto, a una pessima gestione del territorio e ha aperto la strada a sinistri personaggi che non si sono fatti scrupoli, con l'appoggio dell'Occidente, ad arricchirsi alle spalle dei propri connazionali già affamati. Proprio partendo da queste considerazioni, Africa addio venne accusato di fare l'apologia del colonialismo, cioè difendere il precedente stato delle cose che garantiva sicurezza e ordine. Le accuse non si fermarono qui: venne detto che le finalità documentaristiche del duo registico avessero valicato più volte il limite del buon gusto poiché pare che si fosse fatto in modo di ritardare un'esecuzione capitale per poterla filmare a piacimento. Allo stesso modo, alcune scene spacciate come vere si rivelarono ricostruzioni filmiche, cosa, pe-rò, caratteristica di tutta la documentaristica mondos. In realtà, la produzione non fu così cinica: benché molte cose vennero simulate, non si arrivò mai a giocare con la vita delle persone solo per catturare una bella scena. Si simulò per evitare di mostrare vere brutalità visive che poi sarebbero diventate il piatto forte della shockumentaristica. Ad esempio, circa il mucchio di mani amputate, Jacopetti racconta: “Attenzione, perché quelle mani non sono vere, ma in questo non c’è niente di male. Io le ho viste davvero: lei non può filmare un mucchio di mani perché sono marce dopo tre minuti, diciamo la verità; se lei vede una mano tagliata da un giorno non riconosce che è una mano, è una cosa oscena, un ammasso di carne che non è fotografabile. Guardi che questa faccenda si è ripetuta ultimamente sulla stampa, le stesse identiche cose” (Nocturno 110, 2011). Il film, comunque, risulta estremamente violento, che si tratti di verità o finzione: scene di guerra, mutilazioni, cadaveri lasciati in mezzo alla strada a decomporsi e poi l’indiscriminata caccia agli animali selvatici che qui viene illustrata con scene difficili da sopportare. È innegabile che i 139 minuti della pellicola non siano fra i più facili da guardare e che il grande amore per l'Africa dei due registi non impedisca loro di inserire momenti exploitation che non fanno onore né all'Africa né a Jacopetti e socio. Tuttavia, senza neppure bisogno di scavare a fondo, appare chiaro che nella stessa misura in cui il film celebra un certo tipo di voyeurismo giornalistico, allo stesso modo denuncia una colpevole disattenzione dell'Occidente verso un intero continente. In quest'ottica, Africa addio può essere visto come un grido malinconico nei confronti di un Africa da cartolina che poi significa Africa di facciata. La nostalgia non starebbe, dunque, nel colonialismo come forma di governo ma, piuttosto, in un idealizzato stato di natura di rousseauiana memoria, un’idea del buon selvaggio che potrebbe essere accusata d’ingenuo romanticismo piuttosto che di rigidità reazionaria, al che le feroci accuse di razzismo e oscurantismo attribuite ai due registi suonerebbero come le solite ipocrite piangine terzomondiste che sanno sempre cosa sarebbe meglio per l'Africa e gli africani. La predisposizione di Prosperi per il documentario naturalistico e quella di Jacopetti per il giornalismo d'assalto lavorano in sinergia per costruire una pellicola di grande impatto i cui pregi tecnici e realizzativi sfuggirebbero solo all'occhio meno allenato. È importante giudicare Africa addio come mondo-movie e non metterlo a paragone con la classica documentaristica, questo non solo per la pervasiva violenza della pellicola ma anche perché la personale visione degli autori fa di Africa addio un prodotto fortemente soggettivo mentre la documentaristica mira, almeno idealmente, all’oggettività; idealmente, perché l’oggettività è, oggettivamente, un miraggio. Proprio all'interno del genere d'appartenenza, il film di Jacopetti e Prosperi assume una valenza superiore alla media a partire da una durata estesa che ci parla dell’impegno profuso, ben diverso dai soliti mondos improvvisati e prodotti con spezzoni presi qua e là per capitalizzare il successo di pellicole come quella in questione. Che piaccia o meno, Africa addio è la perla del genere. Voce narrante di Sergio Rossi e belle musiche di Riz Ortolani. Film da vedere nella sua integralità ma, ripeto, non adatto a tutti i tipi di pubblico. 

TRIVIA

Francesco “Franco” Prosperi (1926-2004) racconta l’inizio della sua avventura con Jacopetti: “La mia vita precedente era una vita da naturalista. La mia vita era completamente diversa, per quanto riguarda i viaggi: viaggiavo a scopo scientifico, non cine-matografico. Ma un direttore di spedizione scientifica, anche uno con un bel nome, guadagna quanto un bidello. E siccome i docu-mentari che facevo cominciarono a rendere bene, pensai, “Faccio un salto di qualità, provo a fare il professionista”. Così il mio amico Carlo Gregoretti mi presentò a Jacopetti. Io andai da Jacopetti perché avevo l’idea di fare un film sull’amore nel mondo, l’amore nel senso generale, animali, uomini. E Gualtiero mi disse, “Sì, sì, l’idea è buona ma ti sembra […] che io possa fare un film del ge-nere? […] Il mondo che conosco io è un mondo cane […] Che te ne pare, di questo titolo?” […] Fare un documentario sopra i di-versi aspetti dell’umanità e della natura cominciò a sedurmi. E così dissi, “Va bene”. Jacopetti, però, aveva il cinegiornale, e quin-di doveva tornare sempre a Roma. Io no. E allora io iniziai. Non seppi, in quel momento, che in pochi minuti avevo deciso un de-cennio della mia vita” (vice.com).

Del film venne realizzata una versione per il mercato francese curata dallo stesso Jacopetti che però subì un pesante ritardo nella distribuzione su pressioni del governo De Gaulle su Angelo Rizzoli, padrone della Cineriz; quest’ultimo accettò le richieste dei francesi in cambio della nomina a Cavaliere della Legione d’Onore. 

Nel 1966, il film vinse il David di Donatello come Migliore Produzione. 

Esiste anche un libro tratto dal film che però è uscito solo negli USA, editore Ballantine, 1966.

Regista:

Guaktiero Jacopetti, Franco Prosperi

Durata, fotografia

139', colore

Paese:

Italia

Anno

1966

Scritto da Exxagon nell'anno 2010; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

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