Cure
Voto:
A Tokyo avvengono strani omicidi e l'unica connessione fra essi è una X incisa sulla pelle delle vittime. Cosa ancora più strana, il colpevole si fa trovare vicino alla vittima e sembra non ricordarsi nulla di ciò che ha fatto. Il detective Takabe (Koji Yakusho) e il suo amico psichiatra Sakuma (T. Ujiki) si mettono sulle tracce della verità ma non riescono a capirci granché, fino al momento in cui compare Kunio Mamiya (Masato Hagiwara), un giovane amnesico capace solo di porre strane domande. Kunio è inquietante e irritante ma sembra avere uno strano effetto su coloro che entrano in contatto con lui.
LA RECE
J-horror che necessita di un pubblico attento e pronto ad una narrazione destrutturata, almeno rispetto ai canoni del cinema di casa nostra. Se l'attitudine è quella giusta, Cure risulta essere davvero una bella sorpresa.
Pellicola che ha diviso il pubblico fra coloro che si sono fatti rapire da essa e quelli che, invece, si sono sentiti frustrati da un finale che chiarisce ben poco. Kurosawa ricevette il plauso della critica, anche se il grande pubblico ne rimase all'oscuro dal momento che la pellicola non ebbe grande diffusione: la fama arriverà con Kairo (Pulse, 2001), horror di grande spessore e grande paura. Cure è un crime thriller che potrebbe essere affiancato a Seven (1995), tuttavia, rispetto a quest'ultimo, Cure è molto meno lineare. Kurosawa non è interessato al tipico procedimento di risoluzione del caso poliziesco; piuttosto, mette in scena il disagio generato dal caos moderno. Il regista, con un budget limitatissimo (meno di 10.000 dollari), riesce a costruire un'atmosfera austera e livida, avvalendosi, per dare un senso di straniamento, di lunghi piani sequenza con primissimi piani improvvisi. Alcune scene sono magistrali; come riferimento, l'acqua versata che procede lentamente sul pavimento dell'ospedale. Kurosawa ha un ottimo senso dei tempi tecnici e la sua regia ha stile e controllo: gli omicidi sono filmati con distacco e senza morbosità; il dramma, per quanto enorme, non viene mai enfatizzato. Grazie a questi accorgimenti tecnici, ivi compreso uno score non-musicale composto da rumori ambientali, Kurosawa struttura un dramma ipnotico per i suoi protagonisti come per lo spettatore, un viaggio nel profondo dell'animo umano che poi, nel Paese del Sol Levante, significa sempre un po' l'angoscia per l'alienazione sociale. A ben vedere, il film sembra avere un sottofondo sociopolitico, dato che tutte le vittime appartengono a classi ben specifiche: insegnanti, poliziotti, dottori. L'omicidio si diffonde come un contagio che nasconde, forse, un anelito sovversivo ma, più probabilmente, la sovversione è interna all'individuo, nella misura in cui il killer di turno agisce un desiderio inconscio. Mesmerizzante Mamiya: occhio vitreo e parlare dismesso ma potente; l'uomo non sembra avere un'energia propria ma vive, quasi come un parassita, delle energie altrui. In parallelo, la storia drammatica del detective Takabe, uomo nipponicamente devoto al suo lavoro che mantiene a casa una donna che ama ma che gli drena le energie a causa della malattia mentale. Sul capo di Takabe pare lampeggiare il grande punto di domanda connesso all'identità personale e a cosa (lavoro, famiglia, ... ) determini quest'identità. Nel finale, i due protagonisti, ormai permeabili l'uno all'altro, andranno incontro a un'identificazione reciproca. Nell'ultimo quarto della pellicola ci viene mostrato un filmato di fine '800 che riporta ad una strana seduta ipnotica e, in esso, appaiono dei volti confusi: è Mamiya la persona nel film? Mamiya è posseduto? È una persona reale? Soprattutto, che significato ha la scena finale che vede protagonista la cameriera? E quella all'ospedale con la donna uccisa sulla carrozzella? Kurosawa realizzò volutamente un finale che lasciasse aperti interrogativi e interpretazioni; questo è il suo cinema, prendere o lasciare. La chiusa spiazzante, tipica del cinema del non detto che agisce per sottrazione, ha lasciato l'amaro in bocca a molti spettatori ma, piazzando il protagonista positivo come ultimo anello in una catena di drammi, Kurosawa ha detto la sua su un pessimismo che porta con sé l'orrore. In ultima analisi, c'è chi dice che Cure sia un film non riuscito; a mio parere è un piccolo capolavoro ma distante dal gusto occidentale di vedere cinema.
TRIVIA
Kiyoshi Kurosawa (1955) dixit: "A quale genere appartengano i miei film, in definitiva, lo decide il pubblico guardandoli ma certamente, come punto di partenza, inizio sempre il mio successivo progetto considerando in quale genere vorrei lavorare. Quindi, in questo senso sono un regista di genere. In realtà, sono spesso frainteso. Non parto con un approccio filosofico o tematico. Al contrario, spesso parto da un genere relativamente facile da capire e poi esploro il modo in cui voglio lavorare in quel genere. Ed è così che si sviluppa un tema o un approccio" (midnighteye.com).
⟡ Nessun dato, per ora.
Titolo originale
Kyua
Regista:
Kiyoshi Kurosawa
Durata, fotografia
110', colore
Paese:
Giappone
1997
Scritto da Exxagon nell'anno 2006; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0