I Saw the devil

Voto:

La fidanzata dell’agente dei servizi segreti Soon-hyun (Byung-hun Lee), peraltro in dolce attesa, viene brutalmente uccisa dal serial killer Gyeongchul Jang (Min-sik Choi). L’uomo giurerà tremenda vendetta iniziando un gioco del gatto e il topo con il folle omicida, braccandolo, seviziandolo, per poi liberarlo e riacciuffarlo ancora, fino al logoramento. I due nemici giurati lasceranno dietro di loro una scia di morte e brutalità che, in qualche modo, li accomunerà.

LA RECE

Cinema della vendetta e del demoniaco che abita la vendetta, circolo di dolore e violenza senza uscita. Film lungo, ridondante, violento ma brutto mai. Non per tutti.

Titolo azzeccatissimo quando si tratta di indagare quell’abisso che, se ispezionato, guarda a propria volta dentro di te. Siamo nel campo del cinema coreano della vendetta che già con Oldboy (2003), e relativa trilogia, aveva detto molto, ripescando, con toni iperbolici da manga orientale, antiche pratiche di contrappasso fai da te per come insegnate da Charles Bronson (il Giustiziere della notte, 1974) così gradite al pubblico da arrivare fino al cinema danzerino indiano (Raman Raghav 2.0, 2016). Tanti i temi toccati dal prezioso regista Jee-woon Kim che si è distinto pure nel western (il Buono, il matto, il cattivo, 2008), nell’horror canonico (Two sister, 2003) e nel dramma dinamico (a Bittersweet life, 2005). I saw the devil è una disamina, neppure troppo approfondita, sulla permeabilità al Male, sul tema del doppio e sul fatto che un distintivo può dire poco circa la moralità di un individuo. Le riflessioni più approfondite, però, rimangono sul fondo, sovrastate da una certa compiaciuta esibizione di brutalità e sangue quando, probabilmente, il dramma avrebbe meglio funzionato seguendo logiche di sottrazione e non addizione visiva. Funziona bene la cornice sordida e sporca nella quale vive il folle serial killer Jang interpretato magistralmente dal sempre bravo Min-sik Choi; funziona vederlo sciatto e provinciale in contrasto con il nitore della Seoul moderna e contro il suo azzimato persecutore; funziona vederlo frugare a mani nude nelle sue stesse feci perché, tanto, sempre lì in mezzo si è ravanato; una lordura che, però, non ha la stessa portata e permanenza del serpeggiante degrado descritto in Seven (1995), dato che sempre di serial killer e di un mondo alla deriva si tratta. Il vitalismo del film, che dura due ore e venti ma non stanca (quasi) mai, può però stancare rispetto alla reiterazione delle scene di sangue e di altri passaggi gratuiti che stanno lì a ripetere, ancora e ancora, qualcosa che abbiamo già afferrato dei personaggi o della loro storia, cioè che l’uomo, manco a dirlo, è lupo per l’altro uomo. La cupa realtà di I saw the devil non può non affascinare e turbare, anche se una certa vacuità del tutto e gli smaccati elementi exploitation riflessi dalle rotondità dei bei seni femminili mostrati, nonché certe scene da torture-porn, collocano di forza la pellicola nel cubicolo abitato dai pochi spettatori capaci di reggere l’estremo togliendo alla platea più ampia la possibilità di godere di un pregevolissimo film. Non si perde, infatti, l’attenzione alla forma; il regista non si dimentica, in questo mortifero circo visivo, di raccontare una storia dolorosa veicolata da validi attori, animata da uno score musicale eccellente, da sequenze action e da un’effettistica (e splatter) di livello. Ce ne fossero.

TRIVIA

Jee-woon Kim (1964) dixit: “La Corea ha rispetto per lo stile e l'unicità di un regista più di ogni altro Paese. Di conseguenza, la Corea è stata in grado di produrre molti film forti. Dove l'energia giovanile ha incontrato il cinema, ciò ha avuto uno sviluppo estetico e industriale. I film che possono attrarre il pubblico giovane sono sempre stati innovativi, espressivi, potenti e dallo stile unico. La Corea, in particolare, ha mostrato di saper ospitare molti generi diversi” (IMDb.com).

⟡ Questa è la seconda volta che Min-Sik Choi veste i panni del serial killer; la prima volta avvenne in Lady Vendetta (2005). 

⟡ Il film è stato editato differentemente in base al mercato estero o coreano: nella versione internazionale sono state eliminate alcune scene ritenute non necessarie dal regista, e reintegrate quelle che erano state tagliate dalla censura coreana, ad esempio una scena di cannibalismo. Ciò nonostante, la versione coreana dura più di quella internazionale. Le si possono riconoscere facilmente dal finale: la versione coreana silenzia i suoni ambientali a vantaggio del drammatico score musicale, mentre in quella estera, oltre alla musica, si sente piangere il protagonista.

Titolo originale

Angmareul boatda

Regista:

Jee-woon Kim

Durata, fotografia

142', colore

Paese:

Corea del Sud

Anno

2010

Scritto da Exxagon nell'anno 2014; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

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