il Mondo di notte

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Voto:

Film documentaristico

LA RECE

Vanzi stabilisce molti dei codici visivi e narrativi del genere: l'alternanza tra sequenze "shock" e momenti distensivi, l'esotizzazione dell'altro, la pretesa di documentare realtà "nascoste" e "proibite", intercettando il "desiderio scopico" del pubblico del dopoguerra: la voglia di trasgredire rimanendo comodamente seduti in poltrona, di essere contemporaneamente voyeur e moralisti.

L’assistente alla regia di Blasetti per Europa di notte (1958) espande il docu-sexy sul globo terracqueo e pesca il lemma “mondo” per il titolo che, l’anno dopo, cementato da Mondo cane (1960), diverrà marchio di fabbrica del genere. Che sia la solita tediosa carrellata d’arte varia e qualche striptease, lo possiamo dire adesso che di mondo-movie ne abbiamo visti a iosa ma un tempo la cosa suonava decisamente allettante. Il valore aggiunto dell’operazione deriva da una certa cura nelle riprese (l’operatore di camera era Franco Delli Colli) e dal commento ironico e/o irritante scritto da Franco Jacopetti, il genio dietro il progetto del ’60. Nello specifico. Dopo le flamboyant Blue Belle parigine, si segue una “negretta” della ville lumière, regina dello striptease della quale si riescono a mostrare, approfittando di un lampo di luce, i capezzoli; il piatto fortissimo, insomma, viene mostrato all’inizio, anche perché, poi, ci si seda con il Giardino di Tivoli danese e un equilibrista che tiene tutto dritto in punta di spada. A Blackpool, Irlanda, ci sono i “tramvai” e uno che riesce a stare a testa in giù poggiando solo un dito come Ken Shiro quando si allenava. Seguono degli spettacolosi contorsionisti e, quindi, ad Amburgo, l’uomo en travestì Ricky Renée che comparirà in Cabaret (1972) con la Minnelli. Dopo l’Opera cinese e le solite arti marziali figurate, si va ad Honolulu dove “le ragazze crescono a grappoli come le banane”. Boh. La battutona di Jacopetti sul cibo di laggiù cotto dalle radiazioni dei test nucleari sull’atollo di Bikini fece ridere giusto tre anni, dato che, nel ‘61, i sovietici testarono la Bomba Zar, l’atomica più potente mai costruita (50 megatoni), sull’isola di Novaja Zemlja che dista da noi meno di quanto l’acqua separi le Marshall dalle Hawaii. E con leggerezza si passa ai delfini che saltano nel cerchio. Quindi, eccoci a New York City: prima ad Harlem con gli afro che si entusiasmano per il blues, poi a vedere un gruppo di comici e, dopo, una che fa piroette su una bicicletta e, ancora, ballerini di flamenco. Tutta gente di grande professionalità. Arriva il momento dei Fraternity Brothers e del loro pezzo musicale “Passion Flower” che riscrive in stile doo-wop “Per Elisa” di Beethoven. Scorcio della vita allegrotta che si sperimenta al nostalgico locale Sammy’s Bowery Follies che divenne famoso negli anni ’30-’40 per ospitare sia gli alcolizzati e i derelitti del quartiere, sia i borghesotti alternativi che amavano sentirsi alla mano. Dalle immagini se ne evince un locale dal clima unico; esiste ancora, da visitare. Si vola a Las Vegas dove “gli angeli sono al servizio del demone del gioco” e, poi, in Giappone che concilia modernità con le solite geishe; una nipponica canta benino “Come prima” di Tony Dallara. Si torna a Parigi, nel locale Lido, in cui un gruppo di scalmanati danza una macumba ma si vede bene, dall’impostazione dei vispi piedini delle due ballerine statuarie, che è gente che viene dalla classica. Sempre a Parigi, prima dei miti del wrestling anni ’80, omaccioni in costumino si menano e fanno piroette sul ring in quello che un tempo si chiamava catch. Finalone con la spogliarellista Rapha Temporel, bella mica da ridere, che apparirà anche nel mondo-movie visto da pochissimi Nudi per vivere (1963). Documentario un po’ lunghetto ma, in definitiva, ben fatto, con tanti performer di evidente professionalità e donne che si spogliavano il consentito, queste ultime davvero graziose quindi sia belle, sia fini, sia eleganti; connubio ormai raro. Soprattutto, Vanzi stabilisce molti dei codici visivi e narrativi che caratterizzeranno il genere: l'alternanza tra sequenze "shock" e momenti più distensivi, l'esotizzazione dell'altro, la pretesa di documentare realtà "nascoste" e "proibite", intercettando quello che il semiologo Christian Metz chiamava il "desiderio scopico" del pubblico del dopoguerra: la voglia di trasgredire rimanendo comodamente seduti in poltrona, di essere contemporaneamente voyeur e moralisti. Con due seguiti: il Mondo di notte 2 (1961) e il Mondo di Notte 3 (1963).

TRIVIA

⟡ Nessun dato, per ora.

Regista:

Luigi Vanzi

Durata, fotografia

105', colore

Paese:

Italia

Anno

1959

Scritto da Exxagon nell'anno 2007; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

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