Sick of myself

Voto:

Signe (Kristine Kujath Thorp) e Thomas (Eirik Sæther) sono una coppia la cui convivenza si trasforma in un duello silenzioso fatto di rivalità e manipolazioni. Mentre Thomas raccoglie consensi nel circuito artistico della capitale con le sue opere scultoree realizzate utilizzando materiali sottratti illegalmente, Signe architetta una strategia per conquistare l’attenzione popolare. La sua macchinazione folle, tuttavia, implica l’assunzione di un farmaco che stravolgere il suo aspetto esteriore. Quello interiore era già parecchio compromesso.


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LA RECE

Sulla carta, una satira feroce sul narcisismo contemporaneo e il desiderio di attenzione. A mio avviso la perfetta rappresentazione della Sindrome di Muncausen piuttosto che il semplice specchio del vuoto esistenziale moderno. Apprezzata, però, la capacità di confondere realtà e fantasia.

Una festa per gli psicologi. Opera prima di Kristoffer Borgli e, nelle sue intenzioni, una satira feroce e surreale contro l’Ego, il narcisismo, l’ossessione della notorietà e della superficialità della società contemporanea. A quanto il regista dice qua e là nelle interviste, ispirato dalla filosofia di Søren Kierkegaard, egli rifiuta di attribuire traumi o origini psicologiche alle scelte della protagonista Signe e si limita a dire che, in una società sazia, la mancanza di lotta genera il bisogno patologico di inventarne qualcuno, il che porterebbe la bella Signe a seguire i suoi impulsi fino alle estreme conseguenze, senza alcun pentimento né coscienza, incarnando il vuoto esistenziale moderno. La critica si accoda, comprensibilmente, a questa interpretazione autoriale, sottolineando ancora di più i fattori narcisistici e di pseudologia fantastica della bella protagonista che si trasforma in mostro secondo i dettami del body horror. In realtà, la spiegazione non-clinica del regista pare quasi incredibile vista la scrittura di una protagonista così perfettamente rientrante in una determinata patologia che non è quella narcisistica; sembra davvero strano che Borgli sia riuscito a scrivere il personaggio di Signe senza alcuna competenza di psicopatologia, dato che ne occorre un bel po’ per poter comprendere la complessiva dimensione non solo della giovane donna ma anche dei comprimari. Approfondiamo. Allora, evitando l’infarinatura base per comprendere cosa sia l’Organizzazione Borderline di Personalità (Organizzazione, non il disturbo), il quadro di Signe non è affatto un semplice quadro narcisistico, il quale è sempre abbastanza compensato nel comportamento poiché il narcisista è un borderline che “ha deciso” di appoggiarsi completamente al lato idealizzato del Sé, anche quando si tratta di casi detti "covert" o "ipervigili". La nostra protagonista è un evidente Sindrome di Munchausen (più la strategia narrativa del farmaco), la quale è in nota coesistere spesso con il Disturbo Istrionico di Personalità - diagnosi sulla quale mi indirizzerei per Signe - o con quello floridamente Borderline. Il fatto che la giovane mostri quote di antisocialità, bugia patologica, dipendenza, fantasia autistica ai limiti della psicosi, non stupisce, visto che chi soggiorna nell’Organizzazione Borderline di Personalità (cioè tutti i caratteropatici) mostra una sovrapposizione di sintomi e, poi, i soliti marker dell’organizzazione stessa: Diffusione di Identità, Narcisismo patologico, meccanismi di difesa di Scissione e Proiezione. A ciò si aggiunga il fatto che le brevi apparizioni dei genitori di Signe (madre olistica e padre assente) lasciano intendere che il suo feroce esibizionismo si sia costruito attraverso il neglect genitoriale o la falsa empatia materna che viene magnificata dal centro olistico in cui si evita ogni verità scientifica per dare libero sfogo a manifestazioni isteriche e sciocchezze assortite veicolate da un maestro di setta. E, ancora, abbiamo una figura psicopatica al fianco di Signe, ovvero l’artista truffatore e, lui sì, più tipicamente narcisista che guerreggia per strappare alla propria fidanzata i momenti di attenzione sociale e non ha nessuna remora a svilirla quando i due si trovano in mezzo agli amici. Evito di allungare il brodo elencando particolari tecnici utili a dare rilievo alla valenza clinica di ciò che viene mostrato ma rimango perplesso circa il fatto che un disegno così clinicamente attento sia nato da una scrittura quasi anti-psicologica e votata unicamente ad esasperare in modo tragicomico - ma molto poco comico - il trend generale per il quale siamo complici, voyeur di un mondo in cui il dolore è solo un altro palcoscenico dell'autopromozione social. Signe, a mio avviso, non funziona come specchio magnificante e riflettente un problema generale, perché, a parte il farmaco inventato (e che richiama gli effetti del Krokodil), lei è rappresentante perfetta di alcuni specifici tipi di pazienti psichiatrici, nella stessa misura in cui i gravissimi quadri di anoressia nervosa che portano alla morte non sono rappresentativi delle semplici, pur sensibili, ansie dell’adolescente medio circa il proprio aspetto fisico e la pressione sociale circa il bello. Ma, certo, nulla impedisce, di ridurre Sick of Myself, e non lo dico in senso negativo, al grottesco e inquietante spettacolo di una giovane barista che anela più di ogni cosa di ricevere attenzione e trova nella sofferenza fisica la chiave di volta, la quale, oltretutto le apre l’accesso ad uno strano mercato della moda inclusiva. Al fianco di Signe, un artista fallito che espone mobili rubati, e che vive la truffa come stile di vita, anche lui alla ricerca d’attenzione, un’attenzione fine a sé stessa poiché i due non hanno nulla di sostanziale da mostrare, e perciò devono inventare o rubare idee o oggetti (i divani, i vini, ...). Il tutto, immerso in una Oslo nella quale, senza veri significati sociali, gli abitanti costruiscono drammi personali con l’unico scopo di sentirsi autentici. Anche così il film funziona, e piace soprattutto in quei momenti nei quali le fantasie della protagonista si innestano con il reale al punto che anche lo spettatore ne viene spiazzato, ingannato come gli altri, per poi essere riportato alla tragica verità. Ad ogni modo, Sick of Myself, che presenta una delle donne più inquietanti che mi sia mai capitato di vedere in un film, e che metto sul podio insieme a Julie de la Persona peggiore del mondo (2021) e Gloria di Alleluia (2014) porta meritatamente sotto i riflettori il regista norvegese che si guadagna la direzione di Dream Scenario - Hai mai sognato quest'uomo? (2023) con Nicholas Cage, attore cartina tornasole del passaggio dall'indie al mainstream. Visione consigliata da abbinare, magari, a Swallow (2019).

TRIVIA

Kristoffer Borgli (1985) dixit: “Un giorno, dopo le riprese, Kristine [ Kujath Thorp ] indossava ancora la protesi facciale - è stata l'unica volta che non l'ha tolta dopo le riprese - e siamo andati a mangiare in un ristorante. La nostra cameriere ha preso le ordinazioni da tutti noi e ha continuato a fissare Kristine per tutto il tempo. Se n'è andata ed è tornata dopo ben 10 minuti completamente imbarazzata e ha detto: "Mi dispiace, ho completamente dimenticato tutte le vostre ordinazioni". Quel momento ha reso il film reale per me. (Culturedmag.com)”.

⟡ L'attore norvegese Anders Danielsen Lie , che ha un cameo in una scena nel ruolo del medico che rivela i risultati dei test a Signe in ospedale, è un medico abilitato nella vita reale e lavora regolarmente come medico di base tra una ripresa e l'altra. Si è laureato in medicina all'Università di Oslo nel 2007.

⟡ Possiamo vedere il regista Kristoffer Borgli nel ruolo proprio del regista nel suo stesso film.

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Titolo originale

Syk pike

Regista:

Kristoffer Borgli

Durata, fotografia

97', colore

Paese:

Norvegia, Svezia, Francia, Danimarca

Anno

2022

Scritto da Exxagon nel settembre 2025 + TR; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

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