Visitor Q
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Voto:
Un perfetto sconosciuto (Kazushi Watanabe), entra nelle dinamiche di una famiglia e ne cambia gli assetti, il che sembra anche positivo, dato che il giovane figlio (Jun Mutô) picchia la madre eroinomane e prostituta (Shungiku Uchida), il padre (Ken'ichi Endô) vuole documentare la violenza fra i giovani ma fa sesso con la figlia (Fujiko) e filma il figlio mentre viene bullizzato dai compagni di scuola.
LA RECE
Miike fa il verso a Pasolini, esplorandola la disgregazione familiare giapponese attraverso perversioni e bizzarrie. Cinema weird nipponico al suo apice provocatorio ma con una sua beffarda poeticità. Non per tutti né a tutti vuole piacere.
Sorta di rifacimento del pasoliniano Teorema (1968) operato da uno dei maestri nipponici dell’estremo e del bizzarro, la cui visione è essenziale per gli amanti del cinema weird tanto quanto quella di Audition (1999) e Ichi the killer (2001). Il progetto nacque da un’idea della Cinerocket che, sotto l’etichetta Love Cinema, commissionò una serie di film a budget ridottissimo per dimostrare le potenzialità del digitale. Delle sei pellicole emerse, Visitor Q è quella che ha ottenuto maggior attenzione dal pubblico extra-giapponese; da quello, si badi, che sa affrontare un cinema che dire diverso è un eufemismo perché, tanto per iniziare, Miike decide di pescare dal mazzo le carte più comunemente offensive per il pubblico mainstream: incesto, violenza, stupro, deiezioni, tossicodipendenza, necrofilia, nudi e, pezzo che darà imperitura fama a Visitor Q, i seni spremuti della mamma che inizieranno a schizzare latte dappertutto. Nel film di Pasolini, l’ospite slatentizzava il marcio di una famiglia borghese, la quale, allontanatosi il catalizzatore, deragliava nella follia; l’ospite di Miike, invece, arriva in una famiglia già decomposta i cui membri sono perversamente autocentrati e reificano gli altri componenti a proprio uso e consumo. La disgregazione della famiglia nipponica è tutta qui, e la violenza che esiste anche al di fuori del nucleo familiare ci dice che quella disgregazione è sistemica. Il surreale intervento dell’Ospite non diminuirà gli eventi bizzarri ma rinsalderà le relazioni fra i membri in un’ultima immagine, un po’ didascalica, che vede la Madre, prima sempre vilipesa, offrire i propri seni alle bocche del marito e della figlia. Il teorema di Miike è tragicomico, per diversi minuti sembra errare senza significati da una stranezza all’altra, da una perversione all’altra in odore di surrealismo, poi si capisce che l’Ospite sollecita nella famiglia perversa una rinnovata forma di comunanza perversa. Apice della semplice morale del film nascosta dietro chili di bizzarrie e obbrobri, la botta in testa data dall’Ospite alla figlia per farla tornare a casa; un colpo di bacchetta di una fatina ma traslata in ottica miikiana. Film di non facile visione sia per la narrazione rapsodica, sia per le varie stranezze, nonché per il grezzo girato digitale pur consono al tema; eppure, la metafora che veicola, pur nel turbamento, ha una sua disperata e beffarda poeticità.
TRIVIA
Takashi Miike (1960) dixit: “Non penso al pubblico, non penso a cosa lo rende felice perché non c'è modo per me di saperlo. Provare a capire cosa possa intrattenere il pubblico è una cosa molto giapponese. Le persone che pensano così sono all'antica. Pensano al pubblico come a una massa ma, in realtà, ogni persona fra il pubblico è diversa. Quindi un intrattenimento valido per tutti non esiste” (IMDb.com).
⟡ Gli altri film della serie Love Cinema sono: Tôkyô gomi onna (2000) di Ryuichi Hiroki, Eri ni kubittake (2000) di Mitsuhiro Mihara, Tojiru hi (2000) di Isao Yukisada, Gipusu (2000) di Akihiko Shiota, Harikomi (2001) di Tetsuo Shinohara.
⟡ Il film è stato girato in sette giorni.
Titolo originale
Bijitâ Q
Regista:
Takashi Miike
Durata, fotografia
84', colore
Paese:
Giappone
2001
Scritto da Exxagon nell'anno 2012 + TR; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0
