Zeder

Voto:

Il giovane giornalista Stefano (Gabriele Lavia) riceve dalla sua ragazza Alessandra (Anne Canovas) una macchina da scrivere usata. Casualmente, l'uomo si accorge che sul nastro di scrittura sono rimaste impresse delle frasi scritte dall'ultimo possessore dell'oggetto. Sembrerebbe che un tale Paolo Zeder, scienziato negli anni '50, avesse condotto studi sui misteriosi Terreni K, particolari zone in cui è possibile seppellire i morti e farli tornare in vita.

LA RECE

Cultissimo personale e, indubbiamente, uno degli apici dell'horror di casa nostra. Avati trasla la narrativa degli zombi su un piano a metà strada fra il metafisico e il mystery. Ne emerge un inquietantissimo quadro orrifico in cui il non-morto diventa una presenza domestica, maligna, malinconica.

Recupero avatiano delle atmosfere che avevano reso superbo la Casa dalle finestre che ridono (1976), ovvero quel gotico suo, o anti-gotico come dico io, iniettato in una Pianura Padana semplice e solare ma anche obliquamente malinconica, nascostamente oscura, omertosa e folle. Pupi, suo fratello Antonio e Maurizio Costanzo scrivono un para-zombesco in odore lovecraftiano che, a differenza del capolavoro del ’76, presenta spunti fortemente metafisici in seno agli stilemi del giallo del decennio addietro, cioè con l’indagine del privato cittadino. Avati e collaboratori trasformarono le leggende della loro infanzia - storie di cani morti resuscitati e defunti che tiravano i piedi ai bambini cattivi - in una storia sofisticata sui "terreni K", luoghi misteriosi e metafisici nei quali morti e vivi rientrano in contatto ma in un modo decisamente diverso da quanto sviluppato dal genere zombi-horror a partire da Romero. La storia inciampa in alcuni snodi poco chiari ma questo sembra calare ancor più il racconto in un’atmosfera sfrangiata che, inesorabilmente, porta a un orrore senza speranza, con sequenze indimenticabili: il prete che si accorge di essere osservato da Stefano tramite un piccolo telescopio, e la stranota risata ripresa dalla telecamera piazzata nella bara, immagine semplice quanto raggelante che illustra il non-morto come una creatura non brutale e cannibaliza ma malignamente ironica. Quindi, a metà strada fra Argento e Lucio Fulci, Avati istruisce una storia che inserisce i morti viventi nella tradizione popolare, quasi fossero un mostro della tradizione rurale, che poi è anche una riflessione sulla Morte stessa inaugurata dal regista con le Strelle nel fosso (1979). Buono il cast che vede la bellissima Canovas e Gabriele Lavia, qui più contenuto del solito ma anche un po’ distaccato per la sua impostazione imbronciata e scolastica, accompagnati dalle musiche di Riz Ortolani che si sarebbero sperate meno roboanti. Stranamente, lo stesso anno esce “Pet Sematary” di Stephen King da cui poi verrà tratto Cimitero vivente (1989) che ha parecchi punti in comune con Zeder. Il lavoro di Avati approccia il tema dei morti viventi in modo inusuale e decisamente migliore rispetto alla maggior parte dei consimili, facendone una pellicola imperdibile, tanto più ora che sembra patire un certo oblio a vantaggio del pur meritevolissimo film del ’76. Mio personale cult ma, ne sono certo, consigliato dalla quasi totalità degli appassionati di cinema di genere italiano.

TRIVIA

Giuseppe "Pupi" Avati (1938) dixit: “Io cerco un tipo di rapporto discreto con lo spettatore. Mi piacciono più le atmosfere che i dettagli delle mani che saltano e delle teste mozzate. Lui [Dario Argento] visualizza tutto, è esplicito nelle manifestazioni del terrore. È un tipo di paura che non mi interessa troppo. A me più che la violenza piace il mistero. È un tipo di film che rimane poco dentro l’autore, nel senso che è molto tecnico e poco emotivo. Nel farli si ragiona, si fanno conti, si premedita per raggiungere l’effetto voluto e attirare lo spettatore nel meccanismo della paura. È un genere noioso. Francamente non so come si possa fare questo. Bisogna entrare in un’ottica ripetitiva” (il Cineocchio).

⟡ Nessun dato, per ora.

Fast rating

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Regista:

Pupi Avati

Durata, fotografia

100', colore

Paese:

Italia

Anno

1983

Scritto da Exxagon nell'anno 2005 + TR; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

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