l'Assassino ha riservato nove poltrone

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Voto:

Dopo una festa, Patrick Davenant (Chris Avram) porta otto persone in un teatro vuoto di sua proprietà. Questi nove borghesi sono l'uno in relazione con l'altro per qualche motivo ma, soprattutto, si odiano. Uno alla volta vengono decimati da un assassino mascherato che sembra rimettere in opera quella che fu una strage avvenuta 100 anni prima.

LA RECE

Venature gotiche, gialle, paranormali, erotiche. Un po' tutto sobbolle in pentola ma non si arriva mai alla cottura.

Poco memorabile ma non impotabile mescolanza di “Dieci piccoli indiani” della Christie, ambientazioni gotiche, erotismo, spolverate argentiane e suggestioni paranormali con il questionabile risultato che nessuno di questi elementi riesce a svilupparsi appieno e continua a sobbollire per un'ora e mezza. Bennati, qui alla sua ultima pellicola, era riuscito meglio percorrendo altre strade (Musoduro: amore selvaggio, 1954; Labbra rosse, 1960) e dimostra che il cinema della tensione non è il territorio sul quale si muove meglio. In realtà, il film, più che di bennati, è figlio della Cinenove Cooperativa Cinematografica o, meglio dire, del suo boss Giuseppe Maria Perrone che mette nel set un buon numero di attori sotto la sua ala. L'ambientazione gotica del vecchio teatro dal quale i protagonisti non riescono ad uscire (aleggia l’Angelo sterminatore, 1962) ha un qualche valore e, almeno all'inizio, riesce a creare un'atmosfera interessante ma proprio questa viene soffocata dagli eccessivi dialoghi quasi mai intriganti, sebbene i protagonisti si sforzino nel tentativo di sembrare cinici, caustici e antipatici. Presto il plot è sopraffatto da un erotismo di poco spessore nello stesso modo in cui gli attori passano da grida isteriche ad atteggiamenti ambigui e sensuali. Ognuna delle donne mostra il petto, corre seminuda o si lancia in qualche scenetta lesbo ma si osa poco anche sul fronte sessuale. Sembra che il film abbia un guizzo sadico quando l'assassino toglie gli slip a una protagonista e la pugnala proprio lì, ma è cosa di poco conto e resa in modo ridicolo: la scena è off screen e la donna più che urlare geme quasi di piacere. De gustibus. A parte questo, di sangue se ne vede ben poco. L'elemento paranormale s’innesta forzatamente con il genere giallo e risulta meno fluido di altri exploit (la Dama rossa uccide sette volte, 1972) portando il pro-dotto di Bennati al limite dell’horror puro. Il finale realizzato in fretta e furia, poco logico e con venature incestuose, è l’ennesimo elemento poco convincente. Eduardo Filippone, poi, nel ruolo dell'uomo col guru (così chiamato per via della sua giacca con colletto alla coreana) è imbalsamato e sembra che neanche gli altri ospiti diano importanza alla sua presenza e alle sue frasi quando, a inizio film, dice chiaramente: "Ho già passato una notte qui... 100 anni fa", il che avrebbe dovuto suonare strano alquanto! Fra l'altro, storie maladette che si ripetono come in Danza macabra (1963). Visione moderatamente consigliata per quel vago sentore proto-slasher, anche perché l'uccisione della Agren sul palco mentre recita fa venire in mente qualcosa che si vedrà anni dopo in Deliria (1987) di Soavi.

TRIVIA

⟡ Il teatro in cui si svolge l'azione era il Gentile di Fabriano, Ancona.

⟡ I film, alla sua uscita, ricevette un visto censura "Vietato ai inori di 18".

Regista:

Giuseppe Bennati

Durata, fotografia

90', colore

Paese:

Italia

Anno

1974

Scritto da Exxagon nell'anno 2005; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

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