the Dark and the wicked

Bertino (the Strangers, 2008; the Monster, 2016) parla della famiglia e lo fa usando come location la fattoria della sua stessa famiglia. Benché sconsigliati dalla madre, Louise (Marin Ireland) e Michael (Michael Abbott Jr.) giungono al letto di morte del padre scosso da sinistre presenze. La madre si suicida e, per i due figli, è l’inizio di un incubo. Potrebbe sembrare semplicemente un film sul demoniaco, e già a questo semplice livello funzionerebbe in diverse situazioni davvero inquietanti, ma the Dark and the wicked, se si legge bene, è un film che parla dell’orrore della perdita, del lutto non elaborato, della paura di lasciar andare via le persone. Se nel lavoro di Bertino c’è qualcosa di inquietante, questa è l’atmosfera opprimente di un luogo in cui il male di vivere e di morire sembra albergare da molto tempo e che, ora, ha tutta l’intenzione di non lasciar intatti Louise e Michael, schiacciati come sono da riletture esistenziali infestate dal dubbio e dal senso di colpa. La fattoria di Bertino diventa un non-luogo del disagio, un posto in cui la storia incrocia la metastoria come l’Overlook di Shining (1980), piano esistenziale su cui i due protagonisti erano attesi da anni. Per una volta, alla domanda "Ma perché mai i protagonisti non scappano da quel luogo orribile?", si può rispondere: non puoi scappare dalla tua linea del destino. Visioni, voci al telefono, persone che compaiono ma che dovrebbero essere a centinaia di chilometri di distanza e quel vecchio padre morente al quale tutti paino legati da un elastico invisibile. Cupo, efficace nel trasmettere l’orrore (anche grazie ad un buon sonoro) ma anche lento e tendente a reiterare alcuni momenti interlocutori (i due che si fermano sul portico a fumare, bere, etc). Richiede pazienza e un’attitudine a un cinema non troppo dinamico.