E ora parliamo di Kevin

-

Voto:

Eva Khatchadourian (Tilda Swinton) e suo marito Franklin (John C. Reilly) mettono al mondo Kevin (Ezra Miller), una creatura che, fin da piccola, e poi anche in età adolescenziale, si dimostra maligna con un particolare gusto sadico verso la genitrice.

LA RECE

Formalmente ben fatto, con una Swinton intensissima ma il film viene scritto strutturalmente male, senza premurarsi di dare un senso logico o legante ai quadretti di malvagità. E' il dramma per il dramma.

Pellicola tratta dal romanzo di Lionel Shiver ad opera della regista Ramsay. Pellicola, limite mio, della quale deve essermi sfuggito un qualche elemento essenziale perché, davvero, non ne ho colto il punto, al di là della sentitissima prova attoriale della Swinton e della cura registica e scenografica; cose, certo, non minimali. La Ramsay non fa del dramma del “bad seed” Kevin una narrazione con una linearità temporale ma mescola il prima e dopo dipingendo con attenzione ai colori (il colore blu, il giallo, il rosso o bianco del bersaglio delle frecce sono in ogni scena) il dramma di una madre incapace di gestire la mente disturbata del figlio dal quale progressivamente si disconnette emotivamente. Benché We need to talk about kevin vada in coda alle molteplici pellicole del sottogenere bambino-malevolo (il Giglio nero, 1956; Joshua, 2007; Case 39, 2009; Orphan, 2009), essa si aliena da una trama avvincente e preferisce mettere il peso sull’emotività, sui vissuti, sui quadretti di malvagità e sul disagio della protagonista in cerca della performance attoriale e dell’artisticità che dovrebbe scaturire dai primi e dalla seconda. Il problema è che tutto il dramma psichico di Kevin e la disfunzionalità familiare che emergono sono surrettizi e mai disconfermati da azioni di buon senso; in ciò, il film risulta più assurdo di quanto sarebbe stato se si fosse giustificata l’azione con l’influenza satanica. In primo luogo, la condizione di Kevin è gestita nella prima infanzia con un’ingenuità clinica assolutamente irreale: siccome nel bimbo non viene rilevato un problema facente capo allo spettro autistico, allora... a posto così, senza che nessuno pensi ad indagare, ad esempio, un disturbo disintegrativo o della condotta; tanto più che il paziente è un minore e andrebbe valutata anche la famiglia. Si potrebbe supporre che l’accento sia da porre sulla scarsa predisposizione o sull’inefficacia genitoriale dei due protagonisti adulti, però disconfermata dalla gestione della sorellina Celia. Anche di fronte alle più inquietanti reazioni psicologiche o alle azioni a danno di cose o persone operate da Kevin (che però a scuola non dà problemi), il dramma è lasciato al ciondolare per casa di mamma Eva e papà Franklin, nonché a qualche loro confronto verbale che dovrebbe lasciare intendere che il dramma sta danneggiando anche il rapporto di coppia. E ora parliamo di Kevin è tutto un accumulo di facce torve del bad boy, di sguardi sbiancati di mamma Eva, di bolsaggini del padre (più gravi della coerente reazione nervosa della consorte) e di uno strano masochismo della figlia minore che ridacchia quando si prende della cretina. Tutto ruota inefficacemente intorno alla follia inspiegata di questo ragazzo che prepara il dramma terminale (a richiamare stragi reali con eziopatogenesi molto chiara, non come qui) per poi approdare a un finalone nel quale si lascia intendere che Kevin, a furia di prendere sberle in prigione, forse ha capito che essere sistematicamente stronzi non è poi un bell’affare. Pellicola di gradevole aspetto, dunque, e ben recitata ma... il punto quale sarebbe? L’allure art house? Il calvario della madre a contatto con un figlio disabile che ne aliena l’affettività? Di che male stiamo parlando? Qualcuno ha voglia di fare qualcosa che non sia rimanere sbigottiti in una sequela di quadretti del dolore? Il dramma per il dramma, insomma. No, dai, seriamente, rifacciamoci alla vecchia gloria del 1956 oppure a Babadook (2014) se vogliamo comprendere i risvolti drammatici delle relazioni madre-figlio complicate. Reazione tiepida da parte mia. Molti, tuttavia, hanno reputato che l’intensissima interpretazione della Swinton bastasse o trasportasse significati che forse a me, semplicemente, sono sfuggiti. Decidete voi.

TRIVIA

Lynne Ramsay (1969) dixit: “Ricevo domande su ciò che significa essere una donna regista, domande che non vengono poste ai registi. […] Non è che ci penso granché perché non riesco a definire ciò che immetto nelle mie pellicole in virtù del fatto che sono donna” (IMDb.com).

⟡ Nessun dato, per ora.

Titolo originale

We Need to Talk About Kevin

Regista:

Lynne Ramsay

Durata, fotografia

112', colore

Paese:

USA, UK

Anno

2010

Scritto da Exxagon nell'anno 2015 + TR; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

commercial