il Gran Gabbo

Voto:

Il Grande Gabbo (Erich von Stroheim), eccezionale ventriloquo che porta appresso il suo pupazzo Otto, tratta con arroganza e svilisce la sua amorevole assistente Mary (Betty Compson) al punto da spingerla ad abbandonare la loro collaborazione artistica. Otto, però, cinico sul palco ma saggio in camerino, riflesso del lato buono di Gabbo, lo fa riflettere sull’errore commesso e su quanto, ora, Mary manchi ad entrambi. Due anni dopo, Gabbo e Mary si ritrovano e per il superbo uomo di spettacolo si tratta dell’occasione di rimediare ad un grande errore.


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LA RECE

Piccola perla centenaria che anticipa temi come l'erosione tra realtà e performance, personaggio e persona. Pur soffrendo della transizione muto-sonoro con eccessive sequenze di varietà, resta un'opera significativa che riflette le fragilità universali dell'artista ossessionato dal successo.

Basato sul racconto di Ben Hecht, “The Rival Dummy”, apparso nel numero del 18 agosto 1928 della rivista Liberty, ma, soprattutto, il padre nobile di tutta una serie di film che vedono un ventriloquo od un burattinaio disturbato. Una delle pellicole più efficace in questo filone, quasi definibile un sottogenere, è Incubi notturni (1945), altra opera della vecchia guardia; prima di arrivare a soluzioni moderne (Dead silence, 2007) si è passati dal Dummy (1962) dell’episodio 33 della terza stagione del serial Ai Confini della Realtà, quindi a The Glass Eye (1957), primo episodio della terza serie del serial Alfred Hitchcock Presenta, per giungere a il Mostro e le vergini (1964) e al semi-cult Magic (1978) di Attemborough. Nel panorama del cinema sonoro nascente, the Great Gabbo di Cruze (dialoghi scritti dal comico Hugh Herbert) emerge come un'opera particolarmente significativa per la sua esplorazione delle dinamiche psicologiche dell'identità artistica. Gabbo, interpretato con tutti i sentimenti da un carismatico von Stroheim, non è semplicemente un artista eccentrico che va al ristorante con il suo pupazzo Otto, gli prenota un posto e fa in modo che il gioco delirante venga da tutti condiviso (il cameriere che presenta le portate ad Otto per essere sbeffeggiato), ma un individuo la cui identità si dissolve progressivamente nei confini del suo personaggio scenico. Il ventriloquio, per il Grande Gabbo, è qualcosa di spettacoloso e tecnico solo sul palco, quando beve, fuma e si riempie la bocca per provare che la voce di Otto viene da “altrove”; fuori dal palco, ovvero in un contesto reale, il ventriloquio assume forma ancora più inquietante, facendosi manifestazione di un processo di scissione. Otto rappresenta la voce della fragilità e del bisogno di affetto e vicinanza che Gabbo non può, non riesce a comunicare direttamente, arroccato com’è sul lato idealizzato del Sé (posizione narcisistica patologica), a volte algidamente priva di emotività, altre scossa da rabbia narcisistica che gli impedisce l’autocritica e lo muove allo svilimento altrui. Interessantissimo, oltretutto, il fatto che la grandezza dell’artista sia legata a doppio filo con questa scissione; anzi, tutta la sua arte esiste solo in virtù della psicopatologia dell’uomo. D’altra parte, è esperienza comune che l'eccellenza richieda spesso sacrifici che alterano profondamente la personalità con esiti che possono essere felici ma, contemporaneamente problematici. Il rovescio della medaglia ci viene illustrato dal film: erosione dei confini tra realtà e performance, isolamento sociale come conseguenza dell'ossessione artistica, incomunicabilità. In ciò, il Gran Gabbo, rappresentando un protagonista vittima di sé e del meccanismo del successo, anticipa temi che troveremo in molti altri drammi filmici, il primo dei quali è Viale del tramonto (1950). Tuttavia, pur portatore di grandi tematiche e recitate con trasporto, il film manca il podio di grande capolavoro pagando pegno per l’essere stato realizzato in una fase di transizione fra il muto e il sonoro, nonché di passaggio da stage performance a spettacolo cinematografico, cosa che porta il film ad essere arricchito, più di quanto oggi possa essere gradevole, di siparietti di danza e canto su palcoscenico. Ma questo è, sostanzialmente, l'unico punto negativo, benché molto evidente. Pur nella sua sensibilità di film ormai secolare, il Gran Gabbo non solo merita una nostra visione moderna ma mette sul piatto un tema oggi - da sempre - sentitissimo: la tensione tra ciò che siamo nel privato e la necessità espressiva che ci porta ad un lavoro dialettico con gli altri che obbliga alla gestione del primo fattore, qualcosa che il protagonista comprende troppo tardi. In questo, il grottesco Gabbo che s'infila acqua, cibo, fumo ed una sciarpa in bocca mentre fa parlare un pupazzo mosso con una pompetta, è specchio delle fragilità universali. Consigliato, tanto più che è disponibile per la visione e il download gratuiti.

TRIVIA

Erich Oswald Hans Carl Maria Von Stroheim (1885-1957) dixit: “Se vivi in Francia e hai scritto un buon libro, o dipinto un bel film, o diretto un film eccezionale, 50 anni fa, e da allora non hai più fatto nulla, sei comunque riconosciuto come artista e onorato di conseguenza... A Hollywood sei bravo quanto il tuo ultimo film. Se non ne hai avuto uno in produzione negli ultimi tre mesi, sei dimenticato, a prescindere da ciò che hai realizzato prima. È quel terribile, purtroppo necessario, egocentrismo insito nella personalità di chi fa cinema, è la continua ricerca di riconoscimento, quella continua lotta per la sopravvivenza e la supremazia, tra i nuovi arrivati, che relega i veterani nel cestino.

⟡ E' probabile che il pubblico più ampio conosca il nome Gabbo non per questo film ma per l'episodio 23 della IV stagione, intitolato "Krusty viene Kacciato"; nell'episodio, tuttavia, Gabbo è il nome del pupazzo mentre nel film è quello del ventriloquo.

⟡ Il manichino Otto era una statuetta in legno di tiglio intagliata a mano da Frank Marshall.

⟡ Il mancato rinnovo dei diritti d'autore da parte del detentore originale del film ha fatto sì che il film divenisse di pubblico dominio, il che significa che praticamente chiunque poteva duplicare e vendere una copia del film. Pertanto, molte delle versioni di questo film disponibili sul mercato sono o gravemente (e solitamente malamente) modificate e/o di qualità estremamente scadente, essendo state copiate da copie di seconda o terza generazione (o più).

⟡ La première del 12 settembre 1929 si tenne al Selwyn Theatre nel quartiere di Broadway a New York. L'evento fu annunciato con un "cartellone pubblicitario vivente" sul tetto del teatro, descritto nel Film Daily del 16 settembre 1929 come una gigantesca ragnatela con giovani donne in posa da mosche, mentre le coriste cantavano e ballavano sul tetto sottostante. La ragnatela era un riferimento a "The Web of Love", un numero musicale presente nel film. Sebbene i funzionari comunali si lamentassero dei problemi di traffico causati dal cartellone e abbiano portato in causa l'organizzatore, un giudice locale non fu d'accordo, affermando che attraeva il turismo a Broadway.

⟡ Il film venne filamto in Multicolor, un processo che utilizzava un negativo a doppio strato che poteva essere utilizzato in qualsiasi cinepresa dotata di caricatore rimovibile. Lo strato superiore registrava i toni blu-verdi, filtrando automaticamente la luce per lo strato inferiore, che registrava lo spettro rosso-arancio. Il risultato veniva descritto come un "negativo arcobaleno", che poteva essere sviluppato allo stesso modo della sua controparte in bianco e nero. Ad oggi, le sequenze Multicolor di questo film sono sopravvissute solo in bianco e nero.

⟡ Il vaudevilliano George Grandee prestò la voce al pupazzo ventriloquo "Otto".

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Titolo originale

the Great Gabbo

Regista:

James Cruze

Durata, fotografia

90', colore

Paese:

USA

Anno

1929

Scritto da Exxagon nel settembre 2025 + TR; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

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