Jigoku
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Voto:
Shiro (Shigeru Amachi) e il suo luciferino amico Tamura (Yoichi Numata) investono un gangster yakuza che, non soccorso dai due, muore. Mentre le donne della famiglia del defunto giurano vendetta, il senso di colpa infesta Shiro che confessa il fattaccio all’amata Yukiko (Akiko Yamashita). Una cascata di eventi drammatici porta tutti i protagonisti della storia a morte e, da qui, all’Inferno, dove verranno orribilmente puniti per i loro peccati.
LA RECE
Splatter prima dell'esordio dello splatter. Però qui c'è l'arte che Gordon Lewis non aveva né era interessato ad avere. Importante per i veri fan dell'horror.
Il primo film splatter, si sa, è Blood feast (1963) di Herschell Gordon Lewis ma, in realtà, la prima pellicola che ha mostrato scene di sangue esplicite con tanto di interiora esposte ed arti amputati, fu il nipponico Jigoku, ora recuperato dalla Criterion ma che, ai tempi, non conobbe la medesima fortuna distributiva dei lavori di Lewis, anche per una serie di problemi produttivi che colpirono il film di Nakagawa già in fase realizzativa causa il fallimento del Shintoho Studio. Jigoku, nonostante le varie infauste peripezie, resta una misconosciuta pietra miliare sia dello splatter internazionale, sia del genere eroguro (erotico + grottesco), in pratica il genere “roman porno” in cui la violenza e la sevizia prendono il sopravvento. Prima dell’avvento di opere particolarmente efferate e poco attente a livello concettuale e artistico, l’eroguro Jigoku, capolavoro di Nobuo Nakagawa, parte a bassi regimi come un dramma familiare costruito vagamente sull’omicidio “perfetto” organizzato da Leopold e Loeb nel 1924. L’alto numero dei partecipanti alla catastrofe è funzionale per accatastare peccati e peccatori che poi dovranno essere puniti in un inferno che si rifà a una specifica opera d’arte del XII secolo (Jigoku-zoshi) che ritrae l’inferno buddista diviso in otto regni. La pazienza di sorbire le lentezze e gli intrighi narrativi della prima parte trova ricompensa in una visionarietà assolutamente pionieristica, sia per quanto riguarda l’uso delle luci (chissà che Bava non abbia visto), sia per la scenografia (chissà che non l’abbia fatto anche Fulci) e sia per il suddetto splatter ad altissimi livelli se si considerano gli anni. Alcuni quadri che si vanno a dipingere, poi, come le zone dell’antinferno in cui Shiro e Yukiko si rincontrano e parlano della loro bambina morta ancora in grembo, sono semplicemente splendide, a monte di pochissimi elementi scenografici. Lo sguardo terribile di Nakagawa sulla sorte degli uomini, giudicati in morte e condannati in eterno a orribili supplizi (gli assetati costretti ad abbeverarsi in uno stagno pieno delle loro stesse deiezioni) è uno spettacolo non per tutti; non tanto per la violenza, oggi sopportabile, ma per il ritmo della narrazione e per un livello di visionarietà difficilmente accettabile dai neofiti del cinema weird. Per gli altri c’è parecchio materiale che richiama universi apocalittici alla Hieronymous Bosch, vecchie pellicole “maledette” (la Stregoneria attraverso i secoli, 1921) e stimoli per artisti successivi quali José Mojica Marins (Questa notte mi incarnerò nel tuo cadavere, 1966). E anche quella prima farraginosa parte per dire che Jigoku è racconto, cinema d’arte e non bieco exploitation. Altri due film giapponesi dal medesimo titolo, realizzati nel 1979 e nel 1999, vanno a creare la trilogia dell’Inferno giapponese; un quarto film tailandese, Narok (2005), è sostanzialmente un remake.
TRIVIA
⟡ Nessun dato, per ora.
Titolo originale
Id.
Regista:
Nobuo Nakagawa
Durata, fotografia
101', colore
Paese:
Giappone
1960
Scritto da Exxagon nell'anno 2018; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0
