Little Otik

Voto:

Karel (Jan Hartl) e sua moglie Bozena (Veronika Zilkova) sono sconfortati per il fatto di non riuscire ad avere figli. Karel, per un gesto di simpatica dolcezza, porta alla moglie una radice di legno che ha la forma di un neonato, ma Bozena prende sul serio la cosa e inizia a trattare il ciocco come un vero infante, inscenando una gravidanza per poi poter giustificare la presenza del "bambino". Karel teme per l'equilibrio mentale della moglie ma, quando arriva il momento del finto parto, il ciocco prende vita, rimanendo pur sempre di legno, e la donna gli dà nome Otik. Il piccolo Otik si rivelerà essere voracissimo e antropofago. La strana situazione passa quasi del tutto inosservata tranne che alla giovane figlia dei vicini di casa, Alzbetka (Kristina Adamacovà), che scopre come la situazione di Otik sia speculare alla fiaba Otesanek.

LA RECE

Opera di grande inventiva che non si impone allo spettatore ma, anzi, ne stimola lo spirito interpretativo. Consigliatissimo, benché si tratta di un tipo di cinema distante dal mainstream e, quindi, non adatto alla più ampia platea.

Il nome del praghese Jan Svankmajer dirà forse poco ai più, ma questo artista, dalla fine degli anni '60 associato al movimento surrealista, si è guadagnato nel tempo la nomea di uno dei più dotati e bizzarri animatori d'Europa; un animatore, contrario ai lavori massificati della Disney, che ha sperimentato con molteplici tipi di media e con i più diversi materiali. Accadde anni fa che Eva, la moglie di Svankmajer, fosse impegnata nel creare l'illustrazione per la favola "Otesanek" scritta da Karel Jaromír Erben e, colpita dalla storia, abbia passato a Jan l'idea di farci qualcosa d'interessante. Il regista avvertì subito il potenziale del racconto. Sicuramente conoscitore di Lynch, Svankmajer amplifica ciò che, in qualche modo, era stato espresso in la Nonna (1970), un corto animato del regista americano: in esso, un albero soddisfa le necessità emotive del protagonista, così come Otik compensa i bisogni di mamma Bozena. Questo film ceco, tuttavia, è molto più complesso e non si ferma alla semplice emotività dei bisogni di una coppia che non può avere figli. "Io non lavoro con un’intenzione precisa in mente. Perseguire le intenzioni porta a fare film che sono tesi. Questo non ha nulla a che fare con l'immaginazione. È nozione comune che le componenti inconsce della nostra mente siano altrettanto significative rispetto a quelle consce. Quindi, la mia preferenza è certamente per l'interpretazione post facto piuttosto che per l'intenzione. In Otesanek [la fiaba], il bambino divora i propri genitori. Otik è un prodotto dei loro desideri, della loro ribellione contro la natura. Non è un bambino nel vero senso del termine ma la materializzazione del loro desiderio, della loro ribellione. Questa è la tragica dimensione del destino umano: è impossibile vivere senza ribellarsi al destino umano. Questa è l'essenza della libertà" (kinoeye.org). Le riflessioni dello stesso regista ci permettono di rintracciare un filo conduttore fra Little Otik e il suo precedente lavoro Faust (1994) che riprende una delle figure più note circa la ribellione contro la natura, così come la sua visione dell'importanza dell'inconscio e dell'immaginazione riportano dritti verso il Movimento Panico caro a Buñuel e a Jodorowsky. Si ritrova, infatti, un tocco buñuelliano nella scena iniziale della pesca dei neonati, incartati e venduti a donne in fila come fossero al mercato. Il film, sulle prime, pare il racconto surreale di un marito che deve gestire il delirio di una moglie, la quale pensa che un pezzo di legno possa essere davvero un bambino, quasi fosse un approfondimento della Lady Log del serial Twin Peaks (1990-1991) di Lynch. In seguito, Little Otik cambia strada e, senza mai perdere il senso del comico e del bizzarro, si trasforma in un macabro monster-movie non assestandosi mai del tutto in uno o nell’altro genere. L’anelito principale è, e rimane, quello di liberare un'energia immaginativa nello spettatore che, tramite la propria soggettività, sarà lasciato ad rielaborare ciò che percepisce e a reagire allo stimolo secondo il proprio sentire (confronta the Act of seeing with one's own , 1971). È apprezzabile in Little Otik che questo lavoro lasciato allo spettatore sia comunque accompagnato da un divenire degli eventi comprensibile in cui il surrealismo dei fatti si innesta perfettamente in una magistrale capacità narrativa, evitando la tentazione dell'accumulo visivo surreale. Quindi, il grottesco e il tradizionale s'intrecciano lasciando il tempo di delineare alcuni personaggi secondari assai divertenti (i vicini di casa, il vecchietto pedofilo, la portinaia) che vanno a formare il quadro di un condominio bislacco che echeggia Delicatessen (1990) di Jeunet e Caro o l’umanità de l’Inquilino del terzo piano (1976) di Polanski. C'è, soprattutto, il tempo di dare forma a una comprimaria eccellente come Alzbetka che agisce fra i due mondi, quello del film e quello della fiaba, come uno sfortunato deus ex machina che non ha nessun potere di cambiare le sorti del destino poiché il film è fiaba, e immancabilmente trova il suo destino. Svankmajer è chiaramente sfiduciato rispetto alle possibilità dell'uomo di ribellarsi alla natura, cosa che, nel reale, è destinata al fallimento. Ecco che allora, Woody Allen docet, l'arte svincola e salva dai limiti della natura. Little Otik non mostra la vittoria dell'immaginazione/ribellione sulla vita, anzi, ne racconta il fallimento con il piccolo Otik, incarnazione della ribellione, che fagocita l'uomo. È piuttosto l'esistenza del film in sé a rappresentare l'unica forma di vittoria dell’immaginazione sulla realtà così come, d'altronde, è vincente l'immaginazione dello spettatore di fronte a Little Otik. I limiti di una pellicola come questa, se di limiti si vuole parlare pensando a un pubblico mainstream che difficilmente incapperà nei lavori di Svankmajer, sono la lunghezza in sinergia con una certa freddezza d'ambienti e lentezza tipica del cinema dell’est; chi è abituato ai prodotti hollywoodiani è avvertito. Per gli altri, Little Otik potrebbe rappresentare uno dei film weird più interessanti del primo decennio del 2000. Consigliatissimo.

TRIVIA

Jan Svankmajer (1934) dixit: "La Disney è fra i più grandi produttori di “arte per bambini”. Ho semplicemente sempre pensato che non esiste una cosa come una specifica arte per bambini, e ciò che passa come tale incorpora la disciplina o il lucro. “L'arte per i bambini” è pericolosa in quanto è partecipe dell'addomesticamento dell'animo infantile o dello sviluppo dei consumatori della cultura di massa. Temo che un bambino abituato ai prodotti Disney troverà difficile abituarsi a forme d'arte più sofisticate e troverà il suo posto nel gruppo degli spettatori dei serial televisivi idioti. Questo non vuol dire che i lavori che abbiano un valore immaginativo non possano occasionalmente saltar fuori dalla cultura consumistica, per esempio King Kong, ma temo che il loro numero vada progressivamente diminuendo" (IMDb.com).

⟡ Nel film appare un corto di Svankmajer: Meat love (1989). 

⟡ Il termine "Otesanek" è composto dal verbo "otesávat" (tagliare, abbattere) e il suffisso "-ànek" che caratterizza molte parole legate ai bambini e all'infanzia, come il nostro -ino, o -uccio. In ceco, la parola "otesanek" viene usata per indicare o prendere in giro chi ingerisce e digerisce ogni cosa. 

⟡ La lunghezza del film è da attribuire, secondo lo stesso regista, a un suo errore nel valutare la dilatazione dei tempi del racconto dovuti alla presenza dei dialoghi ai quali lui non era abituato per i suoi lavori. 

⟡ È stata la moglie del regista a disegnare le animazioni che nel film illustrano la fiaba di Otesanek.

Titolo originale

Otesánek

Regista:

Jan Svankmajer

Durata, fotografia

132', colore

Paese:

Repubblica Ceca, UK, Giappone

Anno

2000

Scritto da Exxagon nell'anno 2009; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

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