Midsommar - il Villaggio dei dannati

Voto:

Mentre Dani (Florence Pugh) viene colpita da un terribile lutto che vede la sorella suicidarsi e causare la morte anche dei genitori, gli amici di Dani, studenti di antropologia, organizzano un viaggio in Svezia per passare del tempo con la comunità Hårga, così da studiare a fini accademici le loro usanze. L’amico Pelle (Vilhelm Blomgren), originario di quel gruppo etnico, fa da guida e apprende con grande piacere che al gruppo si unirà anche Dani, la quale, oltretutto, non trova in Christian (Jack Reynor) un partner affine. I cinque, più una coppia di turisti già presente sul luogo, prendono temporanea residenza fra gli Hårga, le cui usanze sembrano strane ma sanno anche farsi apprezzare per il loro spirito comunitario. Tuttavia, dopo aver assistito sconvolti al rito ättestupa, i giovani iniziano a comprendere che gli Hårga così innocui non sono.

LA RECE

Elaborazione del trauma, concreto e metaforico di una relazione, come processo non privato ma come rituale pubblico. E il collettivismo settario come bestia fagogitante che terrorizza ma alla luce del sole e dipingendo tutto con colori pastello. Film prevedibile nei suoi sviluppi ma la sua potenza non sta nello shock value.

Liquidiamo in prima battuta il problema di una distribuzione italiana vittima della compulsione ad aggiungere, a titoli pressoché perfetti, sottolineature grossolane e, oltretutto, fuorvianti. Aster, dopo l’eccellente exploit d’esordio (Hereditary - le radici del male, 2018) torna sui temi di quella prima pellicola: un culto maligno, la predestinazione, un ruolo spaventoso poi ben accetto, l’elaborazione del lutto e... pesanti traumi al volto. Tutti si accorgono delle evidenti similarità fra Midsommar e the Wicker man (1973) ma il regista schiva queste notazioni affermando che i veri semi tramite i quali fiorisce il suo secondo lungometraggio sono Powell e Pressburger (Narciso nero, 1947), il Polanski di Tess (1979) e Aleksey German di È difficile essere un dio (2013). Di davvero originale e interessante, là nel villaggio svedese degli Hårga (ma si girava in Ungheria), è il senso della comunità, della famiglia. La protagonista non solo perde tragicamente la famiglia ma non trova nelle amicizie, e soprattutto nell’amore, un’alternativa che le permette di essere accolta, compresa, ascoltata. Così, il trauma irrisolto e privato trova soluzione nella catarsi del gruppo. Non solo. Il sottotesto relazionale del film sembra volerci dire che il processo di separazione assume letteralmente le dimensioni di un rituale sacrificale. E ci pensa il mondo degli Hårga a sistemare tutto, seppure attraverso un folklore affine all’ordalia. Le visioni di Dani riguardano una Natura che la radica in quel luogo: l’erba che le spunta dalle mani, i piedi che si fanno radici nella terra. Ma non solo: gli Hårga vivono il senso di comunità con una forza inusitata rispetto alla cultura occidentale: ciò che quest’ultima lascia essenzialmente alla gestione della privacy e dell’individualità, fra gli Hårga si fa rito comune, pianto comune, orgasmo comune. Chiaro che colei che ha perso tutto, e nulla riesce a trovare di valoriale nel mondo moderno, possa e debba diventare la Regina di Maggio, quale migliore rappresentate della superiorità di quel mondo sul nostro che ci cautela dalle brutalità del monte Taigeto ma poi ci lascia alle nostre inascoltate solitudini. Questa affascinante lezione offerta da Midsommar, però, fa di esso un horror più sociologico che inquietante o maligno, lasciando ad Hereditary lo scettro delle paure viscerali fra i due film fin qui proposti da Aster, comunque prodotti ragguardevoli entrambi, tanto più per il fatto che si tratta dei suoi primi due. Midsommar, d’altro canto, dopo un incipit potentissimo, si dilata su una linea narrativa telefonatissima che accatasta una serie di situazioni che non fanno che sottolineare ciò che lo spettatore si attende fin da subito, grazie alla lezione appresa dai tempi di the Wicker man: la comunità pagana anticristiana (notare il nome del protagonista maschile e la sorte che gli spetta) non è gioiosa come sembra e, stranezze su stranezze, l’orrore emergerà attraverso il tipico meccanismo dei sect-movie (the Sacrament, 2013). La fiaba dell’orfana Dani è eccellente per il suo incipit e la sua chiusa potente, più alcune situazioni di grande incisività (il rito ättestupa, il rapporto sessuale di gruppo) e incanta per la sua fotografia solare e l’evitamento di facili jump scares. Soprattutto vale rimarcare la fotografia di Pawel Pogorzelski che, con la sua luminosità, sovverte brillantemente le convenzioni dell'horror cinematografico tradizionale. D’altra parte, occorre soggiornare nel villaggio Hårga qualche minuto di troppo accettando come verosimili, non tanto le stranezze della tribù, quanto l’immobilismo dei giovani antropologi. L’incanto, quindi, più che narrativo è psicosociologico, visivo, coreutico, dionisiaco, con geometrie e colori che attraversano il cinema alto, da Kubrick a Jodorowsky. Folk-horror un po’ appesantito e magari altezzoso ma siamo, comunque, nel campo delle produzioni di alto livello.

TRIVIA

Ari Aster (1986) dixit: “No, non li vedo come una setta. Potrebbero esserlo. Ma non li ho mai defi-niti una setta. Per me sono una comunità e sono una famiglia. Volevo che esistessero come un luogo con una storia e con leggi e regole e tradizioni molto chiare. […] Allo stesso tempo, questa è una favola, e loro sono esattamente ciò di cui Dani ha bisogno. Nel bene e nel male, questa è la fantasia di realizzazione di un desiderio. […] Cominciamo con Dani che perde una famiglia, e finiamo come Dani che ne guadagna una. E così, nel bene e nel male, loro sono lì per fornire esattamente ciò che le manca, ed esattamente ciò di cui ha bisogno, così come insegnano le fiabe più classiche” (vox.com).

⟡ Per ottenere il rating di censura NC-17 dall’MPAA, Aster dovette procedere a tagliare circa 30 minuti di scene troppo forti che, però, sono state reintegrate nel Director’s Cut di 172 minuti. 

⟡ Buona parte dei dialoghi svedesi non hanno traduzione affinché gli spettatori, come i protagonisti, si sentano spaesati. 

⟡ In Svezia, il film è stato accolto con particolare ilarità per la descrizione dei connazionali come una folkloristica tribù; per loro, Midsommar funziona come una black comedy. 

⟡ Il rito ättestupa, cioè quello degli anziani che si sacrificano per il bene della gioventù del villaggio, è un mito di cui si può trovare traccia nella saga islandese Gautreks (XIII secolo) ma gli storici ritengono che questo rito non fu mai praticato e fu un’invenzione dei cristiani che, volendo convertire le genti di lassù, cercavano di dipingere gli autoctoni come barbari. 

⟡ Nonostante il film si svolga tutto di giorno e in condizioni di tempo soleggiato, il sole non viene mai ripreso. 

⟡ Quale sottile indizio circa il fiammeggiante finale del film, all’inizio, leggendo il PC, si scopre che il cognome della protagonista Dani è Ardor, latino per fuoco, ardore, fiamma. 

⟡ Nell’appartamento di Dani, il suo letto è sovrastato dal dipinto "Stackars Basse" del pittore svedese John Bauer, che ritrae un orso e una donna con indosso una corona, cosa che prefigura l’esito del film. Ma anche quando Christian aspetta di parlare con Siv in casa sua, lui guarda l’immagine di un orso che brucia. 

⟡ I due protagonisti, Dani e Christian, a parte pianti o grida, negli ultimi venticinque minuti di film non dicono una parola. 

⟡ Nel film il numero 9 è ricorsivo: “Midsommar” è composto da 9 lettere; il rituale, compiuto ogni 90 anni, dura 9 giorni e 9 persone vengono sacrificate; per gli Hårga, la fine della fanciullezza si ha al compimento dei 18 anni (9x2), quindi segue la giovinezza fino a 36 anni (9x4), la maturità fino ai 54 anni (9x6) e la vecchiaia a 72 (9x8). L’importanza di questo numero deriva dal mito di Odino che venne appeso a testa in giù sull’Albero della Terra (Yggdrasil) per nove giorni, così da giungere alla conoscenza del linguaggio runico poi donato al mondo. 

⟡ Nella casa dei genitori di Dani si può vedere la foto di una bambina, forse la stessa Dani, con una corona di fiori, indizio di cose che avverranno più avanti nel film. 

⟡ Il disegno mostrato nei primi trenta secondi del film illustra tutto ciò che accadrà nel film, così come, in effetti, l’arazzo che Connie e Simon guardano una volta arrivati al villaggio illustra l’incantesimo d’amore con peli pubici e sangue mestruale che vedrà protagonisti Maja e Christian. 

⟡ Pelle dice che Maja è appena diventata “byxmyndig”, cioè che ha raggiunto l’età del consenso che, in Svezia, è 15 anni. L’attrice Isabelle Grill, nel film Maja, in effetti aveva 20 anni quando Midsommar è stato realizzato. 

⟡ Quando i giovani arrivano al villaggio degli Hårga, Christian fa ironicamente riferimento ai Davidiani, divenuti tristemente famosi nel 1993 per l’assedio di 51 giorni a Waco (Texas) e che ha visto la setta di David Koresh contro i militari statunitensi, conflitto conclusosi con un incendio e la morte di 76 settari. 

⟡ L’incubo di Dani nel quale cerca di urlare ma dalla bocca le esce solo un fumo nero, è un riferimento al modo in cui sua sorella si è uccisa, cioè caccian-dosi i gas di scarico dell’auto con un tubo in gola. 

⟡ Quando, nell’appartamento i protagonisti parlano dell’imminente viaggio in Svezia, alla sinistra di Christian e Dani c’è un frigo e, sopra di esso, un quadro, non ben visibile, che ritrae lo spaventapasseri de il Mago di Oz (1939), personaggio che temeva di bruciare poiché fatto di paglia. Questo è un indizio del gran finale. 

⟡ Il disegno che Pelle regala a Dani per il suo compleanno riporta in basso due simboli runici. Le stesse due rune sono cucite sul suo vestito durante la competizione di danza. 

⟡ Il sorriso finale di Dani mima quello (inquietante) del sole disegnato nell’immagine visibile ad inizio film.

Titolo originale

Midsommar

Regista:

Ari Aster

Durata, fotografia

148', colore

Paese:

USA, Svezia

Anno

2019

Scritto da Exxagon nell'anno 2021; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

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