Hereditary - le Radici del male

Voto:

La madre della dioramista Annie Graham (Toni Collette) muore; un lutto che, per certi versi, rappresenta una liberazione per Annie che non ha un buon ricordo della genitrice. La vita in casa col marito Steve (Gabriel Byrne), il figlio liceale Peter (Alex Wolff) e la fragile figlia Charlie (Milly Shapiro) prosegue ma la tragedia è dietro l’angolo. Per una serie di sfortunate coincidenze, Charlie muore in maniera brutale e l’ennesimo lutto getta Annie in un profondissimo sconforto connotato da rancore per Peter, ritenuto colpevole per la morte della sorella. In un gruppo di auto-mutuo-aiuto, Annie incontra Joan (Ann Dowd), una donna addolorata come lei; quest’ultima la convince a compiere una seduta spiritica per poter tornare in contatto con la figlia. L’orrore che prende forma da questo evento sarà la manifestazione di un’antica verità nascosta che condanna la famiglia Graham al Male.

LA RECE

Uno dei migliori horror del primo ventennio del XXI secolo. Narrativa raffinata al servizio di una storia che sa sia intrattenere, sia regalare alcune immagini o situazioni che rimangono in mente ben dopo la visione. Da vedere una volta e, a volerlo leggere bene, anche una seconda.

Altra produzione A24 al fianco di horror del calibro di Midsommar (2019), the Lighthouse (2019), the Witch (2015) e primo lungometraggio di Ari Aster dopo una serie di corti. Mica roba da poco beccarsi il posto fra i "1001 movies you must see before you die" di Steven Schneider al primo film. Posto, dopo attente riflessioni, che confermo meritato. Hereditary è un horror dalla solidissima narrativa e da un altrettanto solido impegno recitativo del cast che vede al vertice una tesissima Collette e, alla base, un Byrne dalla presenza elegante ma un po’ sopita. Come per the Witch, anche qui abbiamo, almeno in superficie, il dramma di una famiglia che combatte per stare unita attraverso un profondo lutto, crepa attraverso la quale penetra il Male assoluto. O così parrebbe. La qualità delle famiglie di questi film è tale per cui il Male è, in effetti, sempre stato presente e, quindi, esso non penetra ma semplicemente, a un certo punto, si manifesta in tutto il suo orrore. Il background riconosciuto dal giovane regista si rifà, non a caso, da classici del dramma domestico (Gente comune, 1980; una Moglie, 1976) a classici dell’horror domestico (Suspense, 1961; Rosemary's Baby - Nastro rosso a New York, 1968; A Venezia... un dicembre rosso shocking, 1973) con un focus sulla vittima sacrificale, l’agnello, e non tanto sul villain. Nel vedere il film, diseguale per ritmi con una prima parte preparatoria e una seconda più classicamente horror, ho sperato che Hereditary non giocasse le sue carte alte, come tanti pur pregevoli lavori moderni (Saint Ange, 2004; Babadook, 2014; the Wind, 2019), sul meccanismo della metafora psicologica del Male e che avesse, invece, il coraggio di riportare l’horror nell’alveo del cinema del fantastico e del terrore metafisico. Re Paimon sembra aver esaudito il mio desiderio. In un dialogo ini-ziale, vengono citate le tragedie di Sofocle e il principio del libero arbitrio, negato in esse, preludio al destino che tocca alla famiglia Graham, abitata da una sinistra figlia che, affetta da qualche disabilità dello spettro autistico, schiocca la lingua e decapita inspiegabilmente i volatili. I Graham non hanno modo di evitare un fato scritto dalla grande assente-onnipresente nonna defunta, un fato preconizzato istintivamente da Annie con i suoi diorami. Il film si prende i suoi tempi, riduce la durata originaria di tre ore a due, eliminando dialoghi in famiglia (peccato perché i dialoghi feroci sono assolutamente dolorosi/orrorifici) ed elimina forse troppo presto il volto della piccola Charlie, l’unico elemento davvero inquietante della prima parte del film. Nel frattempo si lasciano una serie di indizi sul tracciato come briciole di pane in direzione di un finale che ricompone i frammenti con immagini di rara efficacia orrorifica; in calce si offrirà una ricostruzione degli eventi. Se pur Aster inciampi poco prima della chiusa eccedendo in situazioni che richiamano i mainstream stile Insidious (2010), nondimeno la sua rilettura di Polanski (perché, alla fine, di questo si tratta) è tecnicamente controllata, moderna e capace di incidere la mente dello spettatore con due o tre scene da top ten della paura. Era da parecchio tempo che non spegnevo lo schermo dopo una visione con un frammento di film conficcato in testa a inquietarmi, ed Hereditary, in quell’ultimo diorama con gli adoranti, è riuscito nell’impresa. Riuscito anche l’intento di offrire un prodotto sostanzialmente mainstream ma con l’allure da film d’arte e con immagini, almeno in quel finale, da cinema weird, e siccome non ho mai avuto intima simpatia per il cinema che vuole essere a tutti i costi esoterico e immolato ad una platea di esegeti classisti, mi è piaciuta molto l’anima di questo film trasversale, bello a vedersi, bello da discutere e così inquietanti negli atti e nelle manifestazioni, ma chiaramente più attento alle atmosfere e alle suggestioni che allo spooky fest. Molta, forse troppa carne al fuoco: vero. Diseguale fra prima e second parte, sì. Qualche scena da horror pop, l'ammetto. Ma questa, sia chiaro, non è l’occasione persa di realizzare un buon horror; questo è un buon horror. Un punto in più per contrastare i detrattori che non mi è chiaro a quali perfezioni geometriche ambiscano per dare un otto e come, poi, possano regolarsi con la maggior parte della produzione horror se non usando i numeri negativi. L’unica cosa davvero deprecabile di Hereditary è la compulsione della distribuzione italiana ad aggiungere ai titoli originali delle didascalie inutili e sciocche.

TRIVIA

Ari Aster (1986) dixit: “Non sapevo come mettere insieme persone che avrebbero collaborato a un film, e così mi sono ritrovato a scrivere sceneggiature. Poi credo sia diventato evidente che la vita di uno sceneggiatore sarebbe stata probabilmente dolorosa per me. Bisogna abbandonare il controllo, e dare il film a qualcun altro che poi lo realizza a suo piacimento. E così penso che sia stato all'università che ho capito che dovevo assolutamente fare anche il regista” (theverge.com).

⟡ Pare che la principale ispirazione per il film provenga da una misteriosa maledizione che è gravata sulla famiglia del regista per tre anni. Ari Aster ha affermato: “Ho avuto dei problemi con la mia famiglia. Ho preso il mio malessere e ora l'ho messo dentro tutti voi”. Ok.

⟡ In un cinema di Innaloo, Australia Occidentale, venne mostrato per sbaglio il trailer di Hereditary prima della proiezione del film per bambini Peter rabbit (2018): le famiglie scapparono dalla sala nel panico, il proiettore venne spento in fretta e furia e i gestori del cinema diedero agli spettatori un buono per la visione gratuita di un film a loro scelta. 

⟡ Toni Collette ha definito il regista Aster il più preparato fra quelli con i quali ha lavorato. 

⟡ La scena della decapitazione riprende un tragico evento accaduto nel 2004 a Marietta, Georgia. Dopo una festa, due amici molto ubriachi stavano tornando a casa in macchina. Il ragazzo che non guidava ha sentito di dover vomitare e ha messo la testa fuori dal finestrino mentre il guidatore ha sbandato accidentalmente avvicinandosi pericolosamente a un palo. Un filo di metallo attaccato al palo ha decapitato il ragazzo. Il guidatore era talmente ubriaco che non si è accorto che il suo amico era stato decapitato e ha continuato a guidare fino a casa, ha parcheggiato nel vialetto dei suoi genitori ed è entrato in casa per andare a dormire mentre il corpo decollato dell’amico riposava in auto. 

⟡ Nella prima scena che vede Peter a scuola, sulla lavagna è scritto “Escaping fate” mentre il professore discute il tema del destino. Oltre ad essere riferimento ad uno dei temi portanti del film, questo è un riferimento ad Halloween - La notte delle streghe (1978) in cui i protagonisti discutono dello stesso argomento in classe. 

⟡ Gabriel Byrne aveva già recitato nei panni di Alex Wolff nel serial In Treatment (2008-2010). 

⟡ La scena nella quale Peter si blocca e inizia a sbattere la testa sul banco doveva essere realizzata, per diretta richiesta dell’attore, usando un banco vero con la possibilità che potesse rompersi il naso. Il regista rifiutò e chiese l’utilizzo di un banco finto che aveva un’imbottitura sul piano. Tuttavia, al di sotto dell’imbottiture c’era una lastra rigida, e Alex Wolff si slogò la mandibola. 

⟡ Il film venne pubblicizzato con trailers che non facevano intuire il destino di Charlie, personaggio presente nel film solo per un quarto della durata complessiva; è stato fatto questo pensando a Psyco (1960) e all’effetto che ebbe l’eliminazione di quella che sembrava essere la protagonista. 

⟡ Circa all’ottantesimo minuto del film, si rileva la scritta Liftoach Pandemonium, traslitterazione inglese dell’ebreo “aprire” + (latino) tutti i demoni. Pandemonium è anche l’Inferno descritto da John Milton in “il Paradiso perduto”. 

⟡ La musica finale alla fine del film è una rivisitazione di Zadok the Priest, inno d'incoronazione composto da Georg Friedrich Händel su testo tratto dalla Bibbia di Re Giacomo. È uno degli inni d'incoronazione composti per Giorgio II di Gran Bretagna nel 1727 e, da allora, il brano viene eseguito a ogni incoronazione del Sovrano britannico. 

⟡ Non leggano oltre coloro che non hanno visto il film. Nella prima parte della pellicola sono disseminati molti indizi circa gli eventi che avverranno in seguito. La madre di Annie, Ellen, era la strega maestra di un culto satanista dedito a Paimon, re infernale; il culto mirava a realizzare l’incarnazione del demone in un essere umano. La donna ha tentato di realizzare la cosa sacrilega a spese di suo figlio sedicenne Charles, fratello di Annie, il quale, però, si suicidò accusando la madre di “mettergli delle persone dentro”; il caso fu diagnosticato come schizofrenia. La piccola e strana Charlie (nome uguale allo zio) è, ora, la nuova incarnazione di Paimon ma imperfetta dato che il demone è maschio e necessita di un corpo maschile. Annie ha fatto di tutto per poter abortire Peter (“su questa Pietra costruirò la mia Chiesa”) però desideratissimo dalla nonna, morta prima di riuscire a far incarnare Paimon in Peter. Annie sembra covare un sotterraneo e inspiegabile rancore verso il figlio e lui, costernato, le chiede perché lei abbia così paura di lui. La morte di Charlie è causata da Peter ma è anche operata indirettamente da Paimon che spinge al suicidio la stessa bambina portandola a mangiare una torta con noci alle quali è allergica. Il palo contro il quale la bimba si decapita porta il simbolo della setta. Charlie, inoltre, anticipa la sua fine allegoricamente tagliando la testa al piccione morto; questa ritualità della decapitazione viene anche accennata dai ragazzi che guardano il video di una ghigliottina in internet. Il diorama di Charlie, inoltre, mostra statuette senza testa che si inchinano a una creatura con la testa di piccione incoronato, diorama che prefigura il finale del film. D’altro canto, Charlie non solo ha il viso con tratti fini ma fa anche un verso che ricorda il verso di un uccello; Charlie, inoltre, mangia una candy bar dal nome Dove (colomba) mentre decapita il piccione. Ricordo che nell'iconografia demonologica più classica, si sostiene che Paymon, se evocato, compaia come creatura dalla testa di volatile. Nella scena conclusiva, molti delle persone presenti al culto, erano presenti anche al funerale di Ellen e infatti Annie, al funerale, dice che ci sono molte persone sconosciute. La bella canzone sentimentale "Both sides now" che si sente nei credits finali e specialmente la frase "I've looked at life from both sides now", ora ho guardato la vita da entrambi i lati, è un chiaro riferimento ai due punti di vista su cui si giocano le dinamiche del film, soprattutto fra Annie e Peter.

Titolo originale

Hereditary

Regista:

Ari Aster

Durata, fotografia

127', colore

Paese:

USA

Anno

2018

Scritto da Exxagon nell'anno 2020; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

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