My little eye

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Tre ragazzi e due ragazze sono stati scelti per essere isolati in una casa in mezzo al nulla per la durata di sei mesi, monitorati 24 ore al giorno da una moltitudine di webcam. A pochi giorni dalla conclusione dell'impresa, i giovani sono giunti alla saturazione; le cose peggiorano quando irrompe nella casa un altro ragazzo che si presenta come un simpatico sciatore.

LA RECE

Di discreto potere profetico sulla mercificazione dell'intimità, e di come "il vero orrore non sta in ciò che vediamo, ma nella compulsione stessa a guardare" (Slavoj Žižek). però, come horror in sé non ha graffiato.

Come se non fosse già abbastanza terrificante il format “Il Grande Fratello", ecco My little eye a portarne i presupposti alle estreme conseguenze. Anticipando di qualche anno Hostel (2005) ma radicando i propri assunti in pezzi quali the Blair witch project (1999) e altre cose precedenti, il film del televisivo Evans mescola potenziali riflessioni interessanti, però non ben squadernate, e un facile slasher per farsi capire meglio dal target della pellicola che, ovviamente, è giovanilistico, dato che il fenomeno reality era, almeno agli esordi, loro appannaggio. I paventati rischi dell’occhio televisivo o digitale che tutto spia si sono poi dimostrati sostanzialmente infondati per la natura mediocre dei prodotti reality e dei loro partecipanti che, nel ventennio a seguire, si sono appaiati alle bolse lentezze di donne stracotte e manzi con le sopracciglia rifatte. Alla gioventù stracciata dalla Lunga Recessione, invece, sono state vendute meglio le opportunità offerte dai talent che promettono una vita ostriche e champagne a chi abbia capacità e faccia tosta per saltare nel cerchio di fuoco davanti alla platea. My little eye, da buon horror mainstream, la mette sul trucido andante e ripesca dal cilindro il vecchio sordido folklore degli snuff movies. Il film si lascia guardare con interesse nella sua prima parte, con l’inquadramento dei personaggi stipati in un ambiente circoscritto, iniziando a insinuare possibili soluzioni a una situazione nata come un’opportunità e degenerata in tragedia. Peccato che, poi, tutti gli omicidi si giochino nel finale, frettolosamente, come se la produzione volesse scappare dal set lasciando aperti alcuni interrogativi. Ad esempio, perché coloro che spiano questi cinque ragazzi dovrebbero aspettare sei mesi per guardare quello che si procurano di osservare velocemente nel finale? David Hilton, che qui scrive il soggetto e poi sparisce dal mondo del cinema, imbastisce un discorso sul fenomeno voyeuristico dei reality e sul loro potenziale sadico ma, poi, abbandona in giro, e in disordine, gli appunti e lascia ad altri futuri lavori il compito di compiere più approfondite e serie riflessioni. Lo spettacolo, comunque, regge ma non si rende affatto memorabile. Nel cast troviamo Bradley Cooper al suo secondo lungometraggio e a pochi anni dallo stardom; c’è anche la mia protégée Laura Regan (They - incubo dal mondo delle ombre, 2002) ma è un piacere solo per me.

TRIVIA

Marc Evans (1963) dixit: “La commedia deve essere divertente e un film dell'orrore deve essere spaventoso; è un genere molto molto strano a cui lavorare, francamente, perché cosa è spaventoso? Come si fa a realizzare qualcosa di spaventoso? […] È anche difficile scrivere e rimanere sul binario delle cose che inizialmente pensavamo fossero buone, perché mentre lavoravamo al film, tutto comincia a sembrare un po' ridicolo. Presto abbiamo perso l'idea di cosa fosse spaventoso e cosa non lo fosse” (jigsawlounge.co.uk).

⟡ Il film nacque come produzione direct-to-video. Dopo un disastroso test screening organizzato con una versione di quattro ore, l'interesse per la distribuzione calò a picco. Il film fu tagliato in modo di farlo arrivare a meno di due ore e, quindi, fu distribuito nei cinema.

Titolo originale

Id.

Regista:

Marc Evans

Durata, fotografia

95', colore

Paese:

USA

Anno

2002

Scritto da Exxagon nell'anno 2006; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

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