Questo sporco mondo meraviglioso

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Voto:

Film che chiude la trilogia inaugurata da Scattini con Svezia inferno e paradiso (1968) e che ha visto come seconda istallazione Angeli bianchi… angeli neri (1969). Al fianco di Scattini abbiamo Mino Loy, a.k.a. Guglielmo Loy-Donà fratello del più noto Nanni, e, alla narrazione, la voce di Giorgio Albertazzi, di fatto, il valore aggiunto del film. Il titolo suona come il manifesto programmatico dell’operazione che, come vuole il genere mondo, predica distacco documentaristico ma, alla fine, indugia sulla sporcizia del mondo con morbosa fascinazione, accatastando bizzarrie e stranezze secondo la logica dell’accumulo che ricorda i gabinetti delle curiosità rinascimentali. Io, fortunatamente o meno, non riesco a procurarmi la versione integrale del film e ne visiono una di 68’, quando la uncut version dovrebbe aggirarsi sui ’90. Mi perdo, a quanto pare: cadaveri rigonfi negli obitori, un’operazione a cuore aperto, lo scoperchiamento di una calotta cranica e l’educazione sessuale impartita ad alcuni bambini ciechi che concedeva loro di tastare corpi nudi per farsi un’idea. Mmh. Luigi Scattini non possiede la sofisticazione di Jacopetti e Prosperi (Mondo Cane, 1962) e, quindi, Questo sporco mondo meraviglioso procede come un freak show senza troppa gerarchia fra scene vere, altre verosimili ed altre ancora palesemente inscenate. Di davvero interessante, nel senso che dà la misura del tempo che passa, ci sono alcune considerazioni, sempre scritte in tono tragicomico, sulla fecondazione assistita e lo sperma congelato, cosa un tempo non gradita, e oggetti d’arredo avveniristicamente inquietanti quali il materasso ad acqua, testato lungamente da una ragazza che ci si rotola sopra come una cotoletta, dritto e rovescio. Ci sono anche alcune interessanti suggestioni relative all’inquinamento, tema ben poco sentito nei primi ’70, con citazione del triste caso della malattia di Minamata (Giappone) dovuta al fatto che l’azienda Chisso Corporation rilasciò, nelle acque reflue, del metilmercurio per più di 30 anni, dal 1932 al 1968, inquinando la catena alimentare di tutta la zona e finendo per causare morti fra animali e persone e nascite di bambini con gravi disabilità. Film decisamente non essenziale ma parzialmente potabile come cronaca storica e, pienamente, come documento di una straordinaria stagione del cinema italiano a cavallo fra voyeurismo, antropologia, arte e sciocchezze. Concludo riportando, in versione integrale, la finta lettera d'addio di un ventenne (ma nel film pare ne abbia molti di più) che si dice suicidatosi. Il pezzo dà la misura del patetismo generale e anche della connaturata tendenza dei mondos a mistificare la realtà. Ma ci piacciono così.

Percey Patrick Pillon aveva 20 anni; si è ucciso per sfuggire alla schiavitù della droga. Ha lasciato una lettera, eccola: "Cercate di imparare dai miei errori; io non ci sono riuscito. Ho già percorso una strada troppo lunga; è un inferno, un inferno terribile. Mio Dio, non c’è nemmeno una porta per uscire! Se qualcuno vi offre la droga, dite: “No, no!” Ma dovete gridarlo forte! Dite: “NO, NO!”. Io ho comprato un po’ di felicità e tanto inferno ma non lo sapevo; e poi, è venuta tanta confusione e adesso dovrei piangere e, invece, rido, rido, rido che non riesco più nemmeno a fermarmi. Rido. Oh mio Dio che inferno, deve essere successo qualcosa…"


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Fast rating

etichetta di valutazione veloce del sito exxagon per i film giudicati di mediocre livello

Regista:

Luigi Scattini, Mino Loy

Durata, fotografia

90', colore

Paese:

Italia

Anno

1971

Scritto da Exxagon nel novembre 2025; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0