Salon Kitty
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Voto:
La maitresse Kitty Kellermann (Ingrid Thulin) viene obbligata ad organizzare a Berlino un bordello nel quale verranno ospitate alcune perfette ragazze ariane deputate a soddisfare le fantasie più bieche dei gerarchi nazisti. Kitty, donna volitiva e malmostosa verso il regime, si accorge che il loro modo, e il loro mondo, sporca una casa che è sempre stata eticamente pulita. D'altra parte, anche la giovane prostituta più entusiasta e in linea con il regime, Margherita (Teresa Ann Savoy), inizia a dubitare del nazismo quando si innamora di Hans (Bekim Fehmiu) disilluso pilota della Luftwaffe. Kitty e Margherita si coalizzeranno contro l'ufficiale delle SS Helmut Wallenburg (Helmut Berger) che usava segretamente il bordello per carpire informazioni confessate dai nazisti alle donne durante il sesso.
LA RECE
Una delle opere più autoriali e fondative per il filone naziploitation. Tinto s'impegna a rileggere la relazione fra eros e thanatos nell'era nazifascista, utilizzando l'iconografia nazista per attaccare non solo il fascismo ma il potere in generale. Un'opera che, pur non rappresentando un capolavoro immortale del cinema, offre soluzioni scenografiche roboanti, riusciti schizzi erotici e una filosofia che li giustifica.
Visto nella versione director's cut, e non nei tagli da 106, 110, 125 o 129 minuti, così da offrire la massima attenzione ad una delle pellicole più autoriale e fondative per il naziploitation a venire, un Brass non ancora lasso sui culi trionfanti e gioiosi ma, qui, impegnato a rileggere la relazione (non la solita equazione!) fra eros e thanatos in era nazifascista. Il film nacque, peraltro, un po' per caso. Furono i produttori a distogliere Brass dall'idea di una trilogia sui Borgia sulla quale il regista veneto stava lavorando, e che loro non si sognavano di finanziare - Chiesa e incesti in mano a Tinto, sai. .. - proponendogli la rielaborazione di un romanzo di Peter Norden che, comunque, avrebbe offerto l'occasione a Brass di attaccare il potere. Se il coevo Salò fece del mondo di destra un discorso nichilista più esteso rispetto al tempo di guerra, il regista veneto userà l'iconografia nazifascista con più evidenza, dando vita ad un dramma con rappresentazioni iperboliche che, proprio per la loro ipertrofia, ne facessero trasparire l'incredibile fragilità degli assunti. Non che la critica brassiana sia da limitare al fascismo, in effetti. Sembra più corretto dire che, come Pasolini ma con significanti meno estremi, Brass "nazifichi" il potere, il potere in generale, che in quegli anni, e per certe circostanze vantaggiose, aveva assunto quel colore. Nella sua difesa scritta contro la prima decisione della commissione censura che non concesse il nullaosta al film, Brass calcò strumentalmente la mano sul parallelismo con il nazismo ma semplicemente perché conosceva l'orientamento politico dei censori. È ben noto, però, che la crociata artistica di Brass sia sempre stata, e sia tuttora, l'attacco allo status quo tetragono, al benpensantismo infoiato da un erotismo obitoriale e colpevole, quindi più perverso del voyeurismo che spinge l'occhio fra le solari gambe aperte di una contadinella che fa oplà col gonnellone. Non stranisca, quindi, che il bordello del titolo divenga epicentro ed emblema di una società intera, orribile soprattutto nelle figure dei suoi membri più eminenti, icone del potere e, come tali, caratterizzati da impotenza e perversioni da rappresentare in maniere grottesche che hanno fatto guadagnare a Salon Kitty la noma di film brutto e volgare. E invece, Salon Kitty così brutto non è, né volgare nell'illustrare, come autore voleva, questa triviale connessione fra potere ed eros, ovvero, fra potere e ciò che l'eros del potere è, cioè bruttezza e volgarità. Se di Salon Kitty si stima questo e lo sforzo scenografico di Ken Adam, d'altronde, dal calcolo complessivo, non possono essere escluse la stancante lunghezza e le insistite libidini del nostro Tinto, poiché il dubbio è sempre quello di un grande circo fatto per allettare soprattutto il maestro di cerimonie con una passione verso il soma che travalica la metafora; significante superiore a significato, quindi, e in questo simile ai risultati ottenuti da Pasolini con Salò o, nel caso di Brass, significante equato a significato. Deliziosa Teresa Ann Savoy come lo sarà anche in quell'altro eccesso di Caligola (1978); brava Ingrid Thulin nei panni della maitresse Kitty a rappresentare quel sano sesso antiregime che sarà psicologicamente salvifico per le quindici ragazze intruppate dai nazisti. Ci cascano dentro anche Tina Aumont, Paola Senatore - te pareva... - e, Maria Michi, qui, al suo ultimo film e poi, poverella, dimenticata da tutti e morta giovane nell'80. Presenza cult di un non accreditato Salvatore Baccaro alle prove generali per la Bestia in Calore (1977); IMDb lo attesta nel ruolo di Neanderthal Prisoner! Brass, autore più vituperato che visto, e qui sottovalutato come non mai, ha la sua occasione di essere apprezzato fra riflessi distorti viscontiani, soluzioni scenografiche roboanti, schizzi erotici riusciti e una filosofia che giustifica questi e quelli. Che, poi, i capolavori immortali e imperdibili del cinema stiano altrove, siamo d'accordo, ma qualcuno ha provato a vedere gli altri italiani del genere erosvastica?
TRIVIA
Giovanni "Tinto" Brass (1933) dixit: "Mio padre era un gerarca fascista che m'ha cacciato di casa a 17 anni cambiando la serratura della porta. Ma già a 14 anni m'ha fatto rinchiudere nel manicomio di San Clemente a Venezia, non ricordo più per quanto tempo, per via di una personalità che giudicava poco equilibrata. Mia madre invece era una donna succube che non mi ha mai capito e mi considerava un irrealizzato: non sono neppure andato al suo funerale [...] La notte stessa della cacciata di casa ho scritto una lettera a Luis Bunuel per dirgli che sognavo di andare a Parigi e di fare il regista. Ovviamente non m'ha mai risposto" (panorama.it) .
⟡ Lo scenografo Ken Adam pare fosse molto riconoscente a Brass per questa occasione di lavoro nella quale fu lasciato libero di creare a proprio piacimento. Adam, in effetti, era appena uscito dalla produzione di Barry Lyndon (1975) e il lavoro con Kubrick gli aveva fatto venire un esaurimento nervoso per la micragnosa tendenza del regista a curare ogni minimo particolare. Adam, con Salon Kitty, ebbe la possibilità, invece, di creare, come era il suo stile, scenografie che unissero il gusto classico al moderno. Inoltre poteva testimoniare il décor d'interni della Berlino di quegli anni, dato che la sua famiglia scappò dalla capitale nel 1934.
⟡ Paola Maiolini, sul set del film, ricorda: "Tinto Brass era un po' pazzo, non era per niente facile lavorare con lui perché, tante volte, le scene che lui voleva girare erano molto, troppo forti [...] io sono stata molto amica di Helmut Berger: a Berlino uscivamo sempre la sera, io e lui, che pure è un mezzo pazzo... Nel film c'era anche... che poi nemmeno ha finito di girare, perché aveva grossissimi problemi con la droga... Tina Aumont. Pensa che si bucava sotto i talloni per non far vedere che aveva segni di puntura sul corpo..." (Nocturno dossier 59, 2007).
Regista:
Tinto Brass
Durata, fotografia
133', colore
Paese:
UK
1975
Scritto da Exxagon nell'anno 2015 + TR; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0
