Terrore nello spazio

Voto:

L’astronave Argo riceve una chiamata di soccorso dall’astronave gemella Galliott attirata sulla superficie di un pianeta dalla sua forza gravitazionale. La Argo raggiunge la Galliott per scoprire che i membri dell’equipaggio si sono massacrati l’un l’altro. I cadaveri degli astronauti escono dalle fosse scavate di fresco, mentre alcuni membri della Argo iniziano ad essere posseduti da entità aliene che vivono su un altro piano vibrazionale e che cercano di sfuggire dal loro pianeta spacciato poiché il loro sole sta per esplodere come supernova.

LA RECE

Cultissimo baviano che porta il gotico nelle sfere celesti: atronavi, cadaveri che risorgono, entità aliene che possiedono le menti, paesaggi sulfurei realizzati con la polenta. Sembra roba kitsch, e un po' lo è, ma anticipa di anni Alien. Una vis rappresentativa ancora oggi fuori misura. Consigliatissimo ma non al mainstream.

Eccezionale film di Bava che sconcerta per la capacità del cineasta di tirare fuori molto dal poco, sia a livello visivo sia narrativo, oltre ad aver influenzato non poco la fantascienza moderna. Lo sconcerto, quindi, è soprattutto connesso alla costatazione di quanto l’Italia del cinema avrebbe potuto dire in ambito fantascientifico e quanto poco abbia poi detto, non essendo stata messa nelle condizioni produttive di esprimersi creativamente. Oltre a ciò, certo, c’è anche tutto il fascino di un kitsch inarrivabile e di dialoghi pazzeschi. Vestiti come eroi di un fumetto futuristico, i protagonisti dicono frasi quali: “Fra 60 frazioni di megon cominceremo l’accostamento al pianeta” o “Sopprimete le aree corticale XZY” o, ancora, “Manterremo una distanza di 2 Parsec dalla nave gemella Galliott” senza preoccuparsi del fatto che 2 Parsec equivalgono a più di 61.000 miliardi di chilometri. Ben pochi fra il pubblico, in fondo, potevano capire ma tutti potevano godersi lo spettacolo costruito a Cinecittà e il mystery di un manipolo di astronauti capeggiati dal capitano Mark Markary (Barry Sullivan). Dopo una prima fase nella quale si rimane un po’ interdetti per la visione di una crew di scienziati vestiti come una band rock vintage alle prese con una strumentazione che fa le lucine come l’albero a Natale, si viene sorprendentemente catturati dalla misteriosa sorte toccata alle navi spaziali Argo e Galliott attirate su un pianeta il cui aspetto richiama un desolato girone infernale gorgogliante di lava e vapori. Bava, sulle spalle del racconto di Renato Pestriniero ("Una notte di 21 ore") e coadiuvato da ben sei sceneggiatori fra i quali Alberto Bevilacqua, scatena l’artigianato filmico e fa passeggiare gli attori in un set che sembra enorme ma che, in realtà, si gioca tutto fra luci, nebbie, polistirolo e l’effetto Schufftan (leggi sotto), ormai sorpassato dal chromakey. Poi arriva il superbo momento dell’entrata nell’astronave aliena che non solo crea una sintesi perfetta fra la fantascienza e il gotico ma che sarà anche di palese ispirazione per la medesima scena visibile in Alien (1979) e, va segnalato, per entrambi i film ha lavorato Carlo Rambaldi agli effetti speciali. Altro momento notevole, il finale a sorpresa che difficilmente può essere intuito; un finale che non è pienamente coerente col tutto ma che sa sorprendere anche perché poco conciliante, a differenza di tanto fantahorror statunitense del tempo. Terrore nello spazio, poi “aggiustato” dalla AIP per la distribuzione internazionale coll’insensato titolo Planet of the Vampires, benché ispirato da lavori quali la Cosa da un altro mondo (1951) e l’Invasione degli ultracorpi (1956), riesce a mostrarsi allo spettatore come estremamente originale ancora oggi per la vis rappresentativa, fra atmosfere sulfuree e macabre che non mancano di qualche cenno gore, tale da far dimenticare la pochezza e una certa ironia involontaria. Non da meno lo straniante accompagnamento musicale elettronico in assonanza con cose che arriveranno con i gialli successivi. Cult assoluto e voto di pancia ma, forse, questo film merita anche di più per il suo valore storico, per l'impatto sulla cultura cinematografica e, infine, per la capacità di un artista di avere così tanta visione e creatività.

TRIVIA

⟡ L'effetto Schufftan si realizzava tramite uno specchio bi-riflettente posto a quarantacinque gradi rispetto alla macchina da presa, quindi si integravano miniature fuoricampo all’azione dei protagonisti.

⟡ È il primo film nel quale Lamberto Bava, figlio di Mario, collaborerà nominalmente come aiuto regista, anche se il ruolo fu coperto in concreto da Serena Canevari. Ad ogni modo, è proprio Lamberto che riferì di una strana situazione sul set: il protagonista Barry Sullivan aveva la pessima abitudine di digerire rumorosamente davanti a tutti, e Mario Bava, scocciato, lo fece smettere avvicinandosi all’attore e facendo un rutto ancora più forte.

⟡ La ribollente lava del pianeta alieno fu realizzata con la polenta.

⟡ Le tute degli astronauti furono disegnate prendendo a modello le divise delle SS naziste per dare l’impressione che si trattasse di gente dura.

⟡ L’attore Sullivan ammise che, mentre stava doppiando i suoi stessi dialoghi per la versione inglese, vista la qualità delle immagini del film, pianse.

⟡ La AIP distribuì il film in double-bill con la Morte dall'occhio di cristallo (1965).

Regista:

Mario Bava

Durata, fotografia

88', colore

Paese:

Italia, Spagna

Anno

1965

Scritto da Exxagon nell'anno 2010 + TR; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

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