We Are What We Are
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Voto:
In una cittadina di provincia, mamma Emma Parker muore. In casa, a doversela cavare da soli sono papà Frank (Bill Sage), la figlia più grande Iris (Ambyr Childers), la seconda Rose (Julia Garner) e il piccolo Rory. Nel frattempo, il dottor Barrow (Michael Parks) trova in zona delle ossa umane che lo porteranno a scoprire lo strano modo con cui si sostenta la famiglia Parker.
LA RECE
Remake americano di un messicano che sposta l'azione negli USA di provincia con una famiglia cannibale guidata da un padre integralista che parentifica le figlie dopo la morte della moglie. Psicologicamente interessante. Atmosfera più drammatica che horror. Il finale esplode con violenza dopo aver trattenuto la tensione.
Remake di Somos lo que hay (2010) di Jorge Micel Grau ma con notevoli cambiamenti. Là si trattava del Messico povero e di una certa metafora della società con il padre che moriva e il giovane di casa a dover provvedere; qui, negli USA di provincia sempre in odore di Non aprite quella porta (1974), muore la mamma. Il capofamiglia, quindi, con piglio da integralista cattolico, parentifica le figlie, le spoglia della loro possibilità di essere femmine e le piazza in cucina. La sorpresa su cosa bolla nei pentolini di casa Parker non è più una sorpresa o, per lo meno, non è il piatto forte della pellicola. Buona, invece, l’atmosfera livida, drammatica più che orrorifica in senso stretto e la prova degli attori, in testa il compianto Parks. Il folklore dietro la bizzarra usanza della famiglia viene in parte dall'antropofagia dei pionieri americani, fenomeno assai probabile, già raccontata in l’Insaziabile (1999), sia dalla necessità di tenere a bada il kuru, patologia neurologica in realtà causata proprio dall'abitudine all’antropofagia. La storia traccheggia piacevolmente tra il dramma della vita castrata delle due sorelle, le cure di tata Kelly McGillis che fu sexy biondona in Top Gun (1986), le sempre più ficcanti indagini di polizia che lasciando intendere che tutto precipiterà verso un gorgo di infelicità. E così sarà. Finalone, pur diseguale rispetto ai toni della prima parte, che assesta tutto quello che il film aveva trattenuto e chiude il sipario su un quadro familiare molto poco verosimile ma funzionale come dramma a tinte forti e, in chiusa chiusa, fortissime. Le potenzialità di letture psicologico-edipiche ci sono eccome ma sarebbe pura didascalia. Non un horror banale sul cannibalismo, comunque, e vedibile senza troppi traumi un po’ da tutti. Per il set si aggira anche, nei panni del tenente barbuto, il regista Larry Fessenden (Wendigo, 2001).
TRIVIA
Jim Mickle (1979) dixit: “Dal punto di vista creativo amo stare fuori dalla bolla dell'industria cinematografica e penso che tutto quello che ho fatto sia avvenuto perché sto dove sto e per il piacere di farlo. Preferisco ancora i boschi rispetto a Los Angeles. Ma è un business e può essere frustrante da matti. Il lato aziendale del settore può far venire voglia di strapparsi la faccia” (comingsoon.net).
⟡ Il kuru è un disturbo neurologico degenerativo progressivo incurabile simile al morbo di Creutzfeldt-Jakob, cioè l’encefalopatia spongiforme (TSE) causata dai prioni, agenti infettivi proteinici. La particolarità di questa malattia è che viene contratta se si pratica cannibalismo su un soggetto umano già ammalato: mangiare il cervello aumenta di gran lunga la possibilità di contrarla. Il kuru fu scoperto nel 1955 fra la popolazione della tribù Fore dell’isola di Papua Nuova Guinea: questo popolo era solito cibarsi dei corpi dei defunti e mentre i maschi della tribù avevano accesso ai tagli migliori, donne e bambini mangiavano gli avanzi, fra i quali il cervello. Il kuru, quindi, aveva un’incidenza maggiore in questo secondo gruppo. Quando, nel 1957, furono vietate le pratiche cannibaliche, i casi di kuru diminuirono sensibilmente ma, come per la TSE, il tempo di latenza è molto lungo e può arrivare fino a 40 anni. La parola “kuru” deriva dal termine “kuria” che nel linguaggio del popolo Fore significa tremore, uno dei primi segni della malattia. Il kuru si esprime con deterioramento della deambulazione, dell’eloquio e della coordinazione; compaiono tic, labilità emotiva e rallentamento del pensiero. Nella parte terminale della malattia, la persona non sostiene più il peso del proprio corpo e diviene dipendente dall'assistenza esterna. Come per il morbo di Creutzfeldt-Jakob non vi è cura e la malattia è invariabilmente fatale (Pedrazzi, 2009).
Fast rating
Titolo originale
Id.
Regista:
Jim Mickle
Durata, fotografia
105', colore
Paese:
USA, Francia
2013
Scritto da Exxagon nell'anno 2017 + TR; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0
