Atroz
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Voto:
Un incidente stradale permette la cattura di due sadici, Goyo e Topo, che hanno filmato le loro imprese. Il poliziotto Juarez, indaga, visiona e punisce in maniera brutale pari a quella adoperata dai due criminali.
LA RECE
L’exploitation di Atroz, che apre con un caveat su tutti gli omicidi messicani che rimangono irrisolti, funziona giusto il tempo della visione, che si fa anche annoiata quando la violenza è motore primo e unico.
Lex Ortega, l’uomo dei “primi” in Messico: la mente dietro Mexico barbaro (2014), il primo portmanteau horror prodotto in quella nazione, e questo Atroz, il film più violento mai realizzato in Messico, con tanto di endorsement di Ruggero Deodato che, ben per lui, vive di rendita dai tempi di Cannibal holocaust (1980). Ortega, omaccione tatuato e anche vocalist in una band grindcore, racconta di vite d’accatto di connazionali folli e luridi ma, si badi, oggi è un amorevole papà e, ai tempi universitari, siccome la sua scuola era sotto un perpetuo sciopero, godette dell’appoggio della propria famiglia per completare la formazione andando a studiare in Canada, al prestigioso Trebas Institute, dove divenne tecnico del suono. Tanto per dire che dietro cose come Atroz non c’è il cartello di Sinaloa ma un benestante con le idee abbastanza chiare su come deviare la luce dei riflettori su se medesimo. Rispetto al come fare un buon film, le idee, invece, sono meno chiare. Atroz espande l’omonimo corto del 2012 e rifila, all’ombra di cose estreme già straviste (August underground, 2001; the Great american snuff film, 2004; Snuff 102, 2007), una ribollita di torture, stupri, feci spalmate (e mangiate), incesti vari e via dicendo. Ovviamente, buona parte di essi sono su VHS, un supporto video che ormai esiste solo in questo genere di film poiché, suppongo, molto amato dai sadici che godo nel farci vedere le loro imprese a sordida definizione. Ortega vorrebbe alzare il tono generale legando le varie scene raccapriccianti con una trama relativa a macchinazioni poliziottesche, una sorta di truce esperimento-vendetta condotto dal poliziotto Juarez (Carlos Valencia, l’unico che si sforzi di sembrare un attore) soprattutto a danno del folle Goyo (Lex Ortega). A monte di un mini-budget di 7000 dollari, Atroz ha incassato miserrimi 74 euro nelle sale ma la Unearthed Films gli ha garantito una distribuzione home-video, e il passaparola ha richiamato la curiosità di coloro che di cinema estremo ne masticano, ma solo quelli. L’exploitation di Atroz, che apre con un caveat su tutti gli omicidi messicani che rimangono irrisolti, funziona giusto il tempo della visione che si fa anche annoiata quando la violenza è motore primo e unico. La lezione di Vogel e il torture-porn, forse, hanno fatto il loro tempo ed è bene che si capisca che la costruzione narrativa, benché non sia l’unico tessuto imbrattabile di sangue, resta, tuttavia, il miglior viatico per veicolare l’orrore, quello vero; altrimenti, siamo al collage di brutalità e brutture. Chi di cinema estremo ne mastica e ne ha masticato, digerisce velocemente Atroz e non credo ciò fosse nelle intenzioni di Ortega. Comunque, violento e schifoso lo è eccome. Prestare molta attenzione.
TRIVIA
Lex Ortega (1980) dixit: “Non faccio promozione turistica, faccio film dell'orrore […] Quando la gente guarda Atroz rimane scioccata e questo mi rende felice per due motivi: il primo è che per me il cinema deve farti sentire qualcosa, non importa il genere; se non lo fa, significa che non funziona. E la seconda, e più importante, è che vedere la gente dare di matto guardando la violenza mi dice che non abbiamo ancora normalizzato la violenza; quando guarderemo la violenza grafica e non sentiremo nulla, allora significherà che non abbiamo empatia l'uno per l'altro, allora saremo marci come società” (houseoftortured-souls.com).
Titolo originale
Id.
Regista:
Lex Ortega
Durata, fotografia
79', colore
Paese:
Messico
2015
Scritto da Exxagon nell'anno 2020; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0
