Love Object

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Voto:

Kenneth (Desmond Harrington) è un timido impiegato al quale viene dato il compito di scrivere in poco tempo il manuale di un software complesso; viene affiancato, suo malgrado, dalla neoassunta Lisa Bellmer (Melissa Sagemiller). La presenza di Lisa complica il suo rapporto con Nikki, una bambola di silicone che lo domina psicologicamente. Kenneth s'innamora di Lisa e, allo stesso tempo, vive con Nikki che è gelosissima. Una donna è di troppo.

LA RECE

Bambole sex-toys come specchio del disagio psico-sociale; poi, deriva platealmente horror. Chi preferisce un taglio più psicologico, opterà per la prima parte, benché meno dinamica. Low-budget interessante.

Povere bambole gonfiabili, così immobili e, allo stesso tempo, così invischiate in dinamiche complesse, icone della solitudine maschile, di complessi sessuali e di derive psicotiche. Già Life size - grandezza naturale (1974) di Luis Berlanga aveva sondato l'argomento, anche se con toni comici, ma pare che ai nostri giorni, con l'avvento del silicone chirurgico e della creazione di bambole realistiche, ci sia qualcosa di nuovo da dire a riguardo. Non solo la tecnologia permette la creazione di sex-toys sempre più verosimili ma la vita moderna rende l'esistenza sempre più inverosimile; più la tecnologia permette di restringere i confini geografici, più pare complesso entrare in relazione con un'altra persona, sicché diventa più facile ordinare una donna di gomma con un semplice click che scambiare due parole con una donna in carne ed ossa. Sul tema anche Air Doll (2009) e Lars e una ragazza tutta sua (2007) che racconta del dramma di un uomo alle prese con una bambola di silicone più vicina ai propri sogni e più distante dalle difficoltà relazionali di quanto possa essere una donna vera; poiché si tratta di un film sentimentale, Lars tende verso una conclusione conciliante. Love object, decisamente di altro avviso, non concilia e, a parte qualche sparuto momento di black comedy, la dimensione solitaria, feticistica e psicotica del protagonista emerge come drammatica a 360 gradi. Dal film, che è un low-budget, traspare la pochezza delle location e delle scenografie, ma tale ruvidezza ambientale, esaltata dalla fotografia fredda usata nelle scene in azienda, funziona in sinergia con il deserto relazionale del protagonista. La prima parte è genuinamente desolante, a descrivere il bigio e ossessivo modus lavorativo del protagonista e la sua inadeguatezza comportamentale. Con l'entrata in scena della bambola, la pellicola si fa più e più inquietante. La presenza di Nikki, questo il nome dell'oggetto antropomorfo, ha la stessa forza di Chucky de la Bambola assassina (1988) o del pupazzo Zuni di Trilogia del terrore (1975), soprattutto quando inizia a mostrarsi in posti in cui Kenneth non l'aveva riposta, così come farà anche the Boy (2016). La bambola è viva oppure esercita un’influenza maligna su chi la possiede? Il dubbio permane, in quanto tutti coloro che sembrano essere entrati in contatto con quel modello specifico di bambola portano sul loro corpo estesi eczemi che, in alcuni casi, assumono la forma di vere e proprie deformità. È tuttavia più probabile che tali sfoghi cutanei (dermatite da contatto) siano il marchio della solitudine e dell'alienazione, un segno che trasforma in “monstrum”, in cosa strana e diversa, la persona ai margini. La dimensione ossessiva e inquietante della prima parte del film è tanto riuscita quanto poco è la parte terminale della pellicola che prende una piega banalmente horror, mandando al macero tanta atmosfera; la conclusione della storia, comunque, è imprevedibile e salva capra e cavoli. In un film senza troppi fronzoli ed effetti speciali, tutto si regge sull'interpretazione degli attori che non deludono: Harrington, che a tratti ricorda una versione in sordina di Patrick Bateman (American psycho, 2000), rende alla perfezione il personaggio dell'impiegatuccio complessato e delirante. La Sagemiller è brava nei panni di una dolce e fragile ragazza che, con discrezione, è in cerca di successo e affetto. Da segnalare la presenza non indifferente di Udo Kier, onnipresente comprimario negli horror, nei panni del padrone di casa eccentrico non meno delle persone a cui affitta gli appartamenti. Robert Parigi, al primo film ma con una carriera come produttore, realizza una buona pellicola d'orrore che si frega sul finale trasformandosi in un horror sadico e sanguinario senza una reale ragione. Un pubblico più giovane o maggiormente appassionato allo splatter potrebbe dissentire e dare credito alla pellicola proprio per il finale anabolizzato, ritenendo, invece, la parte iniziale lenta e poco concludente.

TRIVIA

Robert Parigi dixit: “Ero un ragazzino strano. Sono ancora un bambino strano, un adulto lo sembro soltanto. Avevo fatto delle cicatrici di gelatina con il classico libro di trucco di Dick Smith “Famous Monsters”, così ho potuto spaventare un riparatore di condizionatori d'aria mentre lavorava. Una volta mi sono intrufolato nella vetrina di un grande magazzino simulando di essere un manichino. Due vecchie signore mi sono passate accanto; quando solo una delle due guardava mi spostavo, ma poi restavo immobile ogni volta che convinceva l'amica a guardare” (theoriginalvangogh-searanthology.com).

⟡ Nessun dato, per ora.

Titolo originale

Id.

Regista:

Robert Parigi

Durata, fotografia

88', colore

Paese:

USA

Anno

2003

Scritto da Exxagon nell'anno 2008; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

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