la Maschera del Demonio

Consigliato

Voto:

La principessa Asa (Barbara Steele) viene condannata dal proprio fratello a essere bruciata viva per associazione in stregoneria con Javutich (Arturo Dominici). Asa scaglierà una maledizione sulla stirpe dei Vajda; per farla tacere le verrà inchiodata una maschera di ferro sul volto. Duecento anni dopo, il giovane dottore Andrej (John Richardson) si trova per lavoro nello stesso villaggio su cui grava la maledizione di Asa. Al dottorino appare la bella Katia (Barbara Steele), una discendente dei Vajda, mentre porta a passeggio i cani al cimitero. La ragazza chiede la consulenza di Andrej e del dottor Kruvajan (Andrea Checchi), mentore del giovane, per aiutare il padre che sta poco bene. In quel cimitero è sepolta Asa, la quale risorgerà fortunosamente e, insieme al redivivo Javutich, cercherà d’impossessarsi del corpo di Katia e portare a compimento la maledizione.

LA RECE

Il punto più alto del gotico italiano viene raggiunto, paradossalmente, da questo film, il terzo horror prodotto in italia ed il secondo d'impianto gotico. Pellicola must e iconica.

Terza pellicola dell'orrore italica dopo i Vampiri (1957) di Freda, Caltiki - il Mostro immortale (1959) sempre di Freda ma con la collaborazione di Bava. Quest'ultimo, con la Maschera del demonio dà vita ad un'opra di grande importanza non solo per questioni cronologiche ma per una capacità di maneggiare la materia gotica come se da anni avesse gestito quel materiale filmico, mentre la pellicola, per la quale non è eccessivo parlare di capolavoro, rappresenta, in effetti, un exploit. Come per altri notissimi titoli di successo planetario, gli elementi di questo film sono stati così profondamente assorbiti dalla tradizione cinematografica internazionale che, agli occhi di uno spettatore dei nostri giorni, la pellicola potrebbe sembrare scontata; ad esempio, il ricorso del tropo della strega che scaglia una maledizione contro coloro che la condannano, un tema del folklore serbo che non smetterà di essere recuperato dal cinema (Drag me to hell, 2009). Ma la Maschera del demonio non si limita alla brutale morte della strega Asa o a qualche nebbiolina inquietante di foggia gotica: Mario Bava usa tutti i mezzi disponibili per mettere in scena un onirico paesaggio gotico con un uso delle luci, ovvero del chiaro-scuro, che drammatizza superbamente l'immagine. Tramite un bianco e nero magistrale (la fotografia è dello stesso Bava) e furbe posizioni di camera, il regista crea un sogno oscuro, ispirato a “Il Vij” di Gogol (che si rifaceva al suddetto folklore serbo), catalogabile gotico arricchito di elementi sovversivi quali necrofilia, sadismo religioso e sessualità, i quali, benché suggeriti più che esplicitati, avranno enorme fortuna soprattutto nel nostro cinema, in special modo l'erotizzazione della morte (es. L'Orribile segreto del dr. Hichcock, 1962), sia - basta pensare a tutto il filone giallo - la dupplice figura della donna come santa e peccatrice, vittima e carnefice. Il plot, come comandavano i classici del genere, è il solito mélange di passaggi segreti, maledizioni familiari e morti improvvise; tuttavia, Bava ricama il suo lavoro con dettagli macabri molto meno concilianti di quanto offerto dalla cinematografia statunitense o britannica e innestati in un bianco e nero desiderato contro la moda del colore (si pensi alla Hammer), realizzando, comunque, qualcosa di modernissimo. Barbara Steele, la più stranamente sensuale scream queen degli anni '60, è qui nel ruolo della vita: diplomatasi alla Rank Charm School con una formazione drammatica, l'inglese Steele, dagli occhi enormi e profondi, ebbe grande difficoltà a trovare ruoli adatti nel cinema britannico e statunitense, e dovette giungere in Italia per passare alla storia come regina degli horror, prima di ottenere un ruolo in 8½ (1963) di Fellini. In questo suo primo horror, alla Steele spetta un compito dinamico, doppio, oltre al fatto che il suo volto sfigurato dai chiodi diverrà iconico. Lei stessa, a proposito del film, disse: "Entrare nel freddo, scurissimo set era come entrare in una cattedrale medievale in un pomeriggio d'estate. Echi di un'antica civiltà addormentata da secoli. Questo strano silenzio discendeva tra di noi, questo mondo sospirato, sospeso, pauroso, elegante, teso. Tutto il film era così monocromatico che nessuno, neanche uno della troupe, indossava un colore sbagliato sul set" (Giusti, 2004). Di non poca importanza la duplicità del ruolo della Steele, a cementare, come detto, il leitmotiv della non-sintesi della figura femminile. Ma è ancor più interessante il fatto che la donna più desiderabile finisca per essere la peccaminosa e colpevole Asa. Film pivot, senza se e senza ma, da non mancare se si vuole davvero capire qualcosa di horror italiano o di horror in generale.

TRIVIA

Mario Bava (1914-1980) dixit: “Penso a me stesso come a uno capace di far marciare le cose. Non mi interessa avere successo; voglio solo andare sempre avanti. Mio padre [Eugenio Bava] era solito dirmi questa cosa, e lui lavorava nel cinema dal 1906. Non sarò mai un altro Michelangelo Antonioni. Mi piace improvvisare, risolvere problemi, inventarmi sequenze partendo dal poco. A mio avviso un buon regista non dovrebbe fare quello che faccio io, dovrebbe attenersi alla sceneggiatura originale e alla programmazione” (IMDb.com).

⟡ Il film è stato diffuso in America come Black sunday o the Mask of Satan; in quest’ultima versione, la musica di Robert Nicolosi è stata sostituita con il jazz di Les Baxter. 

⟡ Nel 1990, il figlio di Mario Bava, Lamberto, riportò la Maschera del demonio sullo schermo attenendosi più strettamente alla trama de Il Vij. 

⟡ Questo è il film horror preferito da Tim Burton. 

⟡ Sia la Steele che Arturo Dominici hanno indossato i denti finti da vampiro. Bava decise di non usarli nel film e così i due attori si possono vedere con quei denti solo in foto pubblicitarie. 

⟡ La casa di produzione Galatea concesse sei comode settimane di ripresa a Mario Bava a partire dal 28 marzo 1960. Un tipico film italiano di quel periodo abbisognava mediamente di tre o quattro settimane di riprese. 

⟡ Barbara Steele non vide lo script in anticipo, le venivano date le pagine giorno per giorno. L’attrice ricorda: "Quando reciti, non ti rendi conto di molte cose che sono nella testa del regista, come l’uso della cinepresa o una particolare luce…. Era tutto molto entusiasmante ma anche pericoloso. Mi ricordo che in una scena ero legata a un palo sopra una pira che doveva prendere fuoco. Quando le fiamme sono divampate mi sembrava che la situazione stesse un po’ sfuggendo di mano e Bava mi diceva: “Continua ad urlare!”. Non avevo problemi a farlo perché ero davvero spaventata e lui diceva: “Andate avanti a filmare, non vi fermate…” (Nocturno dossier 36; XI; 7/2005). 

⟡ Buone recensioni e un positivo passaparola trasformarono questo film nel maggior successo distributivo statunitense per l’AIP, almeno fino ad allora. 

⟡ Una compagnia americana contattò Bava per proporgli un remake di questo film ma a colori. Bava rifiutò. 

⟡ Durante le riprese, a Mario Bava morì il cane e ciò lo prostrò al punto che si pensa che questo suo stato depressivo abbia condizionato l’atmosfera generale del film, tuttavia, sul piano artistico, in modo positivo.

Regista:

Mario Bava

Durata, fotografia

87', B/N

Paese:

Italia

Anno

1960

Scritto da Exxagon nell'anno 2005; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

commercial