Miss Violence

-

Voto:

Durante la celebrazione del suo undicesimo compleanno, organizzato in casa da tutta la famiglia, Aggeliki prende la via della finestra e si suicida. La famiglia viene molto scossa dall’evento ma, a mano a mano che soggiorniamo nell’appartamento con i protagonisti, iniziano ad emergere strani comportamenti e, alla fine, si paleserà una realtà ben più che drammatica.

LA RECE

La violenza peggiore, quella che si nasconde dietro la pennellata di normalità. La mdp di Avranas mantiene la distanza dagli eventi, creando un effetto di straniamento d'impronta documentaristica che amplifica l'orrore. La passività dei personaggi pare una forma di resistenza passiva che simultaneamente perpetua il sistema di abusi. Perversione morale ed etica senza possibilità di redenzione. Film molto valido ma difficile consigliarne la visione.

Nuova scuola greca del nuovo estremismo greco, quella di Lanthimos (Dogtooth, 2009) che forse è anche un po’ quella di Haneke (Benny’s video, 1992; Funny games, 1997); cioè, il più delle volte, kammerspiel nei quali il peggio dell’animo umano eclissa il lato positivo delle cose. È un modo di vedere, di raccontare, di denunciare, ma il rischio della gratuità del Male avulso da contesti giustificativi suona un po’ come un compiaciuto esercizio di negatività, benché, non va dimenticato, Miss violence si basa sulla vera e schifosa vita di Detlef S. (si legga sotto). Nondimeno, e proprio per questo, il gelido dramma orrorifico riesce ad avere un impatto devastante sullo spettatore che aspetta di venire a capo di una tragedia che si respira, in crescendo, fin dai primissimi minuti. Lo spunto di cronaca, connesso a pedofilia, incesto e sadismo, è solo uno spunto per raccontare della raggelante dinamica del sopruso, di come un sistema chiuso possa creare una sua peculiare morale ampiamente distorta ma condivisa; di come il vocabolario relazionale ed emotivo sia un libro che si scrive insieme; tuttavia, se i primi esercizi di alfabetizzazione sono appresi da mostri, allora diventa tutto un guaio. Avranas ci fa sapere che Miss violence, più che volersi fare documento del dramma da cui prende spunto, vorrebbe dilatare il suo significato alla storia dell’Europa, piena del desiderio di avere un leader ma poi incapace ad agire contro di esso la volta che si fosse accorta che la grande guida è un grande danno. In Miss violence, infatti, ciò che funziona meglio fra lentezze, assenza di score musicale e silenzi vari, è la collosa collusione delle vittime, incapaci di reagire, alcune incapaci di capire appieno il Male, altre rabbiose ma inefficaci. La loro passività raggiunge livelli di insostenibilità pari alla sgradevolezza del protagonista maschile, un perfetto Themis Panou che va a collocarsi nell’empireo dei personaggi cinematografici più repellenti di sempre. Interessante, quindi, come il sentimento centrale di Miss violence sia la rabbia o anche, come da titolo, la violenza, che però emerge come vissuto nello spettatore più di quanto emerga nella pellicola stessa, nella quale, invece, rimane sottotraccia se non in un finale solo parzialmente liberatorio. Girato in una maniera fintamente distaccata, Miss violence è magistrale nel muovere vissuti negativi che vanno dalla noia alla rabbia, con un senso di schifo e disagio durevole ben oltre il tempo della visione. D’altra parte, queste sobrietà narrative fatte di lentezze e silenzi sono ormai un linguaggio poco originale nel panorama dei drammi familiari di carattere estremo. Un esercizio di sofferenza che pochi potrebbero sopportare e che io, pur con una discreta esperienza di visioni al limite, credo non avrò il desiderio di ripetere. Double-bill consigliato: Bedeville (2010).

TRIVIA

Alexandros Avranas dixit: “Prima facevo il cameraman e quindi voglio essere il tipo di regista che sta dietro la macchina da presa. Questo approccio mi permette di percepire la sensazione del film e di essere più vicino agli attori. La cosa interessante è che, prima di tutto, ho cercato di girare in un modo che fosse molto diretto alla macchina da presa, non dissimile dal documentario. Cambiavo sempre la prospettiva o il punto di vista tra il soggettivo e l'oggettivo, e così, a volte, guardavamo il pubblico. Credo che questo permetta allo spettatore di sentirsi più vicino ai personaggi e alla storia ma anche di sentirsi più a disagio per la sensazione di immediatezza; è lì, è presente davanti ai loro occhi” (heyuguys.com).

⟡ Detlef S., camionista disoccupato 48enne e residente nel piccolo villaggio di Fluterschen (Bonn), nel 2011 venne perseguito per 70 reati di abuso su minori di 14 anni, 63 di abuso su minori e 29 relativi all’induzione alla prostituzione. Detlef, a partire dal 1987, abusò della figlia fin dai suoi otto anni, e quando la giovane arrivò ai 12, la stuprò per poi indurla alla prostituzione con uomini paganti, il tutto mentre Detlef guardava. Da lì in avanti, l’uomo abusò della figlia settimanalmente, obbligandola al sesso orale ogniqualvolta la ragazza aveva il ciclo. Poi abusò anche della nipote che partorì sette figli di Detlef; un ottavo morì poco dopo la nascita. L'uomo abusò anche dei propri figli/nipoti a partire dai 4 anni. La condanna di Detelf furono 14 miseri anni e 6 mesi di detenzione, con la specifica del giudice Winfried Hetger che quell’“egoista spietato” non avrebbe mai dovuto uscire di prigione perché sarebbe stato altissimo il rischio di recidiva.

Titolo originale

Id.

Regista:

Alexandros Avranas

Durata, fotografia

98', colore

Paese:

Grecia

Anno

2013

Scritto da Exxagon nell'anno 2019; testo con licenza CC BY-NC-SA 4.0

commercial